Rendere possibile…Un ricordo di Salvatore Veca

Avevo conosciuto Salvatore Veca, quando ero ancora studente e frequentavo i corsi di filosofia all’Università Statale di Milano. Ero allieva di Emilio Agazzi, professore di filosofia della storia, che alla fine degli anni Settanta stava cercando una possibile via di rinnovamento del marxismo, allora in crisi, misurandosi con la teoria della forma valore e la ricostruzione del materialismo storico, due percorsi che si sarebbero ben presto mostrati come antagonisti. In questo contesto filosofico-politico,  ero entrata in contatto con Salvatore Veca e avevo dunque sostenuto nel 1980, in un afoso tardo pomeriggio di fine luglio, l’esame di Filosofia della Politica, con un ottimo risultato finale. Il libro in discussione era il Saggio sul programma scientifico di Marx (1977), che era stato ripubblicato nel 1979. Mi rimase sempre impressa la citazione shakespiriana con cui Veca introduceva il libro: “There are more things in heaven and earth, Horatio, Than are dreams of in your philosophy”. Discutemmo molto le tesi contenute nel suo libro, ma con l’ironia e la schiettezza che gli erano soliti, Salvatore mi confessò che in effetti i suoi interessi scientifici stavano rivolgendosi verso altri paradigmi metodologici, che non riguardavano certamente l’approccio habermasiano…. Marx veniva così pensato in altro modo. La “svolta analitico-rawlsiana” era allora in nuce.

Rimasi sempre in contatto con Salvatore Veca nel corso degli anni, sia a livello amicale che per iniziative varie. Giunse un’opportunità di collaborazione, quando alcuni colleghi francofortesi mi dettero l’incarico di sviluppare una ricerca sui melieu intellettuali italiani, con una specifica enfasi sul caso di Milano. In collaborazione con la collega Marisa Bertoldini, pubblicammo un saggio in lingua tedesca dal titolo “Mailand: der Aufstieg des Dienstleistungsbetriebs und die Entzauberung des Geistes e una raccolta in italiano che conteneva ben 77 interviste, svolte nell’arco d 3 anni, intitolata  Pensare Milano. Intellettuali a confronto con la città che cambia. Fra gli intervistati c’era anche Veca. Nonostante la fatica profusa, il libro fu un totale disastro editoriale. Era stato infatti pubblicato nel marzo 1992, ovvero ad un mese dall’inizio di Tangentopoli, che aveva irrimediabilmente cambiato anche la fisionomia culturale di Milano.

In un periodo di profonde trasformazioni, mi piace allora ricordare Salvatore proprio qui, riproponendo [in allegato] quell’intervista che ci aveva rilasciato nel 1991, quando era direttore della Fondazione Feltrinelli. In questo testo, Veca ripercorre gli anni della sua formazione, mettendo soprattutto in risalto un aspetto che non è stato sufficientemente menzionato nei ricordi seguiti alla sua  scomparsa: il suo impegno come promotore editoriale e culturale, a partire dal Piccolo Teatro di Milano, allora diretto da Poalo Grassi. Cambiare le mentalità, trasformare le istituzioni politiche, sviluppare nuovi percorsi culturali, mettere al lavoro concetti filosofici, riconcepire il significato trasformativo della responsabilità. Ed è proprio su questo principio che discutemmo a lungo nello stesso panel durante la conferenza organizzata dalla SIFP a Roma nel 2016 e incentrata sul tema della Macropolitica. Qui Veca rese chiare le sue linee per un’idea di giustizia globale. Ed è proprio sul lascito del “rendere possibile” in un’età incerta che dobbiamo ora lavorare.

[L’intervista è contenuta nel file allegato]

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