Vita e opere di John Henry Mackay
Max Stirner (Bibliosofica Editrice, Roma, 2013)
Notevole è l’ammirazione che John Henry Mackay prova per Max Stirner (1806-1856), pseudonimo di Johann Caspar Schmidt, autore di un’unica opera di rilievo, il celebre L’Unico e la sua proprietà (Der Einzige und sein Eigentrum) del 1844. Da quanto ci racconta lo stesso Mackay, egli scoprì il nome di Max Stirner consultando presso la biblioteca British Museum (la stessa abitualmente frequentata da Karl Marx) la Storia del materialismo di F. A. Lange nell’estate del 1887. Come «folgorato da un incomparabile desiderio di approfondirne la conoscenza» (Introduzione, p. 7), nacque in lui il desiderio di procurarsi l’opera e di approfondire la conoscenza di quel nome così emblematico (“dalla fronte ampia”) e contemporaneamente così enigmatico. L’ammirazione e l’impressione suscitata solo dalle poche notizie riportate nell’opera di Lange spinsero il Mackay ad adoperarsi per reperire l’opera in questione e maggiori informazioni riguardo Stirner; ciò avvenne con un anno di ritardo. A partire dalla lettura del testo, che provocò in lui una «enorme ed incomparabile impressione» (p. 29), egli si spese in ogni modo per riportare a galla la vita e l’opera di Max Stirner, tanto poco notato in vita quanto poco poi considerato dopo la sua morte. Mackay promosse una raccolta di fondi per far scolpire una lapide da affiggere fuori della casa natale di Johann Caspard Schmidt a Bayreuth, contattò la sua seconda moglie Marie Dähnhardt e chiese a chiunque fosse in possesso di materiale fotografico, manoscritti o altri documenti di mettersi in contatto con lui, per iniziare a dedicare parte della propria vita «alla scoperta di quell’esistenza così palesemente e completamente dimenticata» (p. 29). L’esito di questa attività di ricerca è quindi Max Stirner. Vita e opere, per la prima volta edito in italiano dopo tre edizioni (1898, 1910, 1914) in lingua tedesca, quasi tutte pubblicate a spese dell’autore. Essa è, a tutt’oggi, la più attendibile biografia di Max Stirner, che, pressoché sconosciuta in Italia, apre uno spiraglio su di una bibliografia stirneriana quasi interamente incentrata su studi di carattere filosofico. Il lavoro di Mackay, quindi, non parte dall’Unico per descriverne la vita, ma accosta vita e opere di Johann Caspar Schmidt in modo che esse risultino – cosa che è quanto di più coerente con il dettato stirneriano – coessenziali («questo libro [L’Unico, nda] è la vita stessa», p. 165). La vita egoistica così prepotentemente affermata nelle pagine dell’Unico (“Non c’è nulla che mi importi più di me stesso!”) paradossalmente vive invece una esistenza concreta, ordinaria e a volte banale. Eppure, a mano a mano che si entra nella vita di Max Stirner, non si rileva in lui alcuna contraddizione, quanto piuttosto la piena consapevolezza che l’egoismo non ha alcuna dimensione superomistica. L’Io stirneriano fonde la vita e il pensiero, facendone una vita tanto più filosofica quanto meno essa viene ostentata. La personalità di Stirner, quasi isolata rispetto al mondo, si ritaglia uno spazio proprio, e in questo spazio essa non abbisogna di nient’altro che di se stessa. In questo modo è spiegabile il suo disinteresse verso altri, la sua scarsa partecipazione agli eventi del 1848, il suo carattere chiuso e tuttavia pacifico. Mackay ricostruisce la vita di Johann Caspar Schmidt dalla nascita a Bayreuth, al 67 di Maximilianstrasse, alla maturità, secondo uno schema di ascesa (1806- 1844), apice (1844-1846) e declino (1846-1856), sino alla morte avvenuta a Berlino per un tumore e il 25 giugno 1856. Sono passati in rassegna i suoi studi e i suoi interessi, i suoi tentativi di ottenere un posto statale, il suo impiego presso l’“Istituto di formazione per ragazze di buona famiglia” della signora Gropius a Berlino, ove Stirner insegnava lingua tedesca. Una vita, quella di Stirner, priva di eventi eclatanti o di scossoni, fatta eccezione per i lutti familiari e la scomparsa della prima moglie, morta di parto precoce assieme al figlio. Buona parte del saggio è dedicata al racconto e alla descrizione della frequentazione del circolo dei “Liberi” presso la birreria Hippel, sita al n.94 della Friedrichstrasse di Berlino; qui si riunivano i filosofi che Karl Marx e Friedrich Engels chiameranno Die heilige Familie. L’attività di Stirner nel circolo è silente, ma non passiva. Stirner trascorreva le animante serate del circolo avvolto nel fumo del suo sigaro, intervenendo a proposito quando lo riteneva opportuno, senza scaldarsi eccessivamente, come invece spesso facevano i suoi colleghi, ben descritti da una celebre vignetta di Friedrich Engels. Stirner vi appare tranquillo, appoggiato al tavolo mentre fuma, senza essere toccato dal caos circostante. I membri del circolo aspiravano a una “vita libera”, complici i fermenti socio-politici coevi. In questa “scuola di argomentazioni forti e pensieri audaci si incrociavano liberali e socialisti; era un’epoca in cui tutto il vecchio sembrava crollare per far posto al nuovo”; così il circolo resse per quasi un decennio.
La parte più rilevante del saggio, tuttavia, è dedicata alla genesi, alla stesura e all’accoglienza da parte della critica dell’opera che ha reso Stirner celebre, L’Unico e la sua proprietà. L’Unico è diviso in due parti: la prima intitolata “L’uomo”, la seconda “Io”. La celebre frase scelta come incipit, «Io fo fondato la mia causa su nulla!”, rivela come questo testo sia una staffilata verso quanto la filosofia tedesca aveva prodotto sino ad allora. Tanto i liberali che i socialisti, così come gli umanisti, rifiutarono una critica così sprezzante, non tollerando di essere “rimasti indietro”, dato che il loro vanto era quello di aver superato una resistenza dietro l’altra nella realizzazione della critica “critica” e “assoluta”. Nella prima parte, infatti, Stirner, vuole “vedere da vicino” l’uomo, che Bauer dichiara di aver trovato e Feuerbach ha elevato a essere supremo. Stirner diffida di queste affermazioni entusiastiche, rilevando come il passaggio dal “sacro” all’“umano” non significhi altro che uno scambio di padrone che coinvolge tanto gli antichi che i moderni, così come i “liberi”, cioè i liberali, “i modernissimi tra i moderni” che ritenevano di aver raggiunto «l’ultima frontiera del pensiero radicale» (p. 145), nelle tre forme del liberalismo politico, sociale e umano. Essi, dice
Stirner, ci hanno liberato dallo Stato, dal possesso e da Dio, elevando però l’uomo a nuovo Dio, assoggettando cioè il Sé, l’Io, a questo nuovo padrone. Stirner invece rivendica l’egoismo, l’unicità come vera libertà, fondando la propria causa su di sé, senza sacrificarla ad altro. La verità di Stirner, che non è un metodo da apprendere o una scuola di pensiero, è l’appropriazione di sé, il diventare Io, cioè Unico.
Mackay analizza l’opera in modo puntuale, presentandone sommariamente la scansione e i contenuti, e articolando una breve storia della critica. La più nota presa di posizione fu probabilmente quella di Marx ed Engels nell’Ideologia tedesca, che bollano Stirner come “San Max”, cioè come fautore di una visione di umanità astratta, slegata dalle condizioni materiali e dai legami sociali. A questa Stirner non poté rispondere (è noto infatti che l’opera fu edita completamente solo nel 1932). L’Unico fu tuttavia preso in considerazione seriamente e criticato dal comunista Moses Hess, dal “critico critico” Szeliga e da Ludwig Feuerbach. Le critiche sostanzialmente convergono nel rilevare come l’“Unico” sia il “fantasma dei fantasmi”, l’individuo sacro, l’egoista. Ma essi tralasciano la parte più importante de L’Unico, quella in cui Stirner tratta dei rapporti tra l’egoista e gli altri egoisti. Hess, infatti, parla di “associazione egoista”, quando invece si tratta di una “associazione di egoisti”, ove «l’interesse di uno, anche se soltanto fugace, momentaneo, coincide con l’interesse dell’altro ed è, quindi, motivo di unione».
Mackay ricostruisce e presenta tutto ciò in modo molto puntuale, a volte scadendo nella partigianeria, ma in modo serio e argomentato. Questa biografia è perciò degna di lettura e di attenzione, sia per la precisione documentale sia per le autentiche ammirazione e passione che John Henry Mackay profonde in ogni singola pagina, anche se a volte rende la lettura un poco macchinosa e rischia un poco l’agiografia. Stirner probabilmente non è «l’intelletto più chiaro e rigoroso di tutti i tempi e di tutti i popoli» (p. 44), ma senza dubbio un uomo fedele a se stesso, un egoista consapevole, ardente di libertà, radicale e rigoroso insieme: un individualista, che, in un’epoca vivace e tumultuosa, ha sempre mantenuto la propria coerenza, mirando alla libertà, «nei cui raggi egli cammina, a testa alta e più felice di coloro che hanno vissuto prima di lui» (p. 212). L’ “Italietta speculativa” di cui parla Roberto Calasso nella postfazione all’edizione italiana de L’Unico (Adelphi, 20094) ha finalmente una traduzione della prima e della sola biografia di Max Stirner, un valido contributo per arginare quella «venerazione santimoniosa, acritica, melensa» (ivi, p. 408) – dalla quale nemmeno il Mackay è del tutto immune – che talora avvolge la figura di Stirner. Ora possono avvalersi agevolmente di questo testo anche i lettori italiani.