Vico eversivo

Gf. Zanetti (Bologna, Il Mulino, 2011)

Nella sterminata bibliografia vichiana è facile imbattersi in studi o filoni di ricerca tesi a dimostrare  l’attualità del pensatore napoletano. In alcuni casi questi testi finiscono col rappresentare delle  forzature, tale è l’ansia mostrata dai loro autori di avvicinare Vico a tematiche e riflessioni  contemporanee. 

Non è certamente questo il caso del libro che Gianfrancesco Zanetti dedica al filosofo  partenopeo, sebbene, a tutta prima, il titolo appaia esprimere una visione del pensatore accostabile a  quella di un precursore di correnti politiche del nostro tempo. Nella presentazione del libro, non a  caso, l’autore si affretta a precisare che il titolo non deve far pensare né a prese di posizione  sull’erudita discussione riguardante i circoli intellettuali che nella Napoli del tempo attirarono  l’occhio benevolo delle autorità, né a compromessi fra uomini impegnati contemporaneamente ad  onorare la scienza e la fede, né a discussioni sulla religiosità di Vico, né alla possibilità di  intravedere un Vico latore di anticipazioni rivoluzionarie. Va, infatti, specificato che l’intento che  Zanetti si prefigge non è tanto quello di dimostrare l’attualità di Vico, quanto, semmai, quello di far  emergere una serie di interrogativi e di risposte che è possibile rintracciare nella speculazione  filosofica del pensatore partenopeo, in special modo nella Scienza nuova e che possono essere utili  al lettore contemporaneo. 

L’idea di fondo che caratterizza il volume include alcuni nodi problematici di grande  importanza che sono spunto di riflessione nell’attuale dibattito filosofico-politico. Facendo  interagire le pagine della Scienza nuova con alcune significative teorie di filosofia politica elaborate  nel mondo anglosassone (da quelle di Jeremy Waldron a quelle di Bernard Williams fino a quelle di  Michael Walzer, solo per fare alcuni esempi), Zanetti dimostra che il capolavoro di Vico aiuta a  porre domande, a darsi delle risposte e ad offrire la possibilità di avere un approccio nuovo rispetto  ad alcune questioni del mondo attuale: in particolare, il ruolo delle emozioni nelle scelte; le  trasformazioni della categoria di eguaglianza; il concetto di diritto naturale, che ha avuto una  rinascita ed una ulteriore problematizzazione negli ultimi tempi. 

Il libro si articola intorno a tre capitoli che affrontano ognuno uno specifico aspetto del  pensiero vichiano. 

Il primo capitolo – intitolato Eguaglianza in Vico – pone all’attenzione la dicotomia  eguaglianza/diseguaglianza all’interno della Scienza nuova. Zanetti, aderendo pienamente al testo  vichiano, attraverso l’analisi puntuale di alcuni brani significativi, ripercorre il capolavoro di Vico e  mette in evidenza il fatto che, nel pensatore partenopeo, i concetti di eguaglianza e diseguaglianza  non vengono espressi come se fossero valori assoluti. L’eguaglianza e la diseguaglianza non si  identificano, necessariamente, la prima con un’idea di progresso e la seconda con un’idea di  regresso, ma sono entrambe legate al momento storico e al processo di sviluppo della società. Le  teorie di Jeremy Waldron permettono a Zanetti di porre l’accento sul fatto che esiste una distinzione  fra eguaglianza di base (basic equality) ed eguaglianza normativa (equality as a goal); secondo la  concezione giusnaturalistica, che ha finito con l’affermarsi sia nell’ambito della tradizione storica  che in quello della logica comune, la prima rappresenta sempre il punto di partenza da cui muove la seconda. Ragionando fra le pieghe del capolavoro di Vico, Zanetti fa notare che, nel contesto della  Scienza nuova, questa regola non è sempre rispettata; spesso, infatti, è l’eguaglianza normativa a  rappresentare un prius rispetto all’eguaglianza di base. 

Nella Scienza nuova l’eguaglianza si affaccia ancor prima che abbia inizio la storia umana. I  bestioni che, in condizioni di ferinità, vagano senza punti di riferimento fra le selve, vivono fra  eguali. L’autore del volume nota, tuttavia, come sia solo grazie all’instaurarsi di una condizione di  diseguaglianza, conseguente al formarsi delle famiglie e del dominio dei patres, che ha inizio lo  sviluppo della civiltà. L’eguaglianza iniziale non è neanche avvertita come tale, data  l’inconsapevolezza dei bestioni umani. L’età degli dèi e l’età degli eroi sono, invece, caratterizzate  da una compresenza di diseguaglianze severissime e di forti legami di eguaglianza. I patres, infatti,  sono eguali tra di loro ed orgogliosamente evidenziano tale parità, ma pongono l’accento,  contemporaneamente, sulle differenze sia all’interno della famiglia che all’interno della società.  Questo complesso gioco di eguaglianze e differenze dà vita ad una serie di credenze che diventano  norma. Zanetti mette adeguatamente in risalto il fatto che le credenze, nell’ambito della Scienza  nuova, non sono mai ritenute menzognere nell’età eroica, ma anzi rappresentano imprescindibili  verità. Proprio per questo motivo esse finiscono con l’essere condivise da tutti, persino dai famuli che subiscono le conseguenze di questa condivisione, con lo stato di assoggettamento ai patres. Le  credenze condivise sono norme e stabiliscono quell’eguaglianza normativa che, ovviamente, è  eguaglianza solo fra i patres. La dicotomia eguaglianza/diseguaglianza in Vico è così centrale che  influisce pure sui corpi. Non a caso, i bestioni hanno proporzioni gigantesche a causa della loro  ferinità che li espone ad una mancanza di rispetto di regole igieniche, mentre fra i primi popoli solo  quello ebraico possiede la giusta statura. 

La distinzione fra Ebrei e Gentili in Vico pone in discussione la basic equality: non tutti i  popoli sono eguali e quindi non tutti gli uomini sono eguali. I Gentili, poi, sono di due specie  diverse e solo col tempo, col maturare delle condizioni, i plebei giungeranno a rivendicare  un’eguaglianza fino a quel momento impensabile. Il realizzarsi della basic equality avviene  solamente nell’età degli uomini; la successione di questi eventi fa sì che Zanetti possa  opportunamente rilevare come per i Gentili l’eguaglianza normativa fosse antecedente a quella di  base, la cui attuazione si deve anche ad un piano provvidenziale. 

La difficoltà del testo vichiano viene adeguatamente padroneggiata da Zanetti, che ne pone  in risalto la complessità; da un lato, infatti, è innegabile che in esso emerga la rilevanza del percorso  tradizionale, dall’eguaglianza di base a quella normativa; dall’altro, però, è altrettanto evidente che  nel pensatore napoletano si palesano diverse forme di eguaglianza, così come emergono pure  diversi concetti di natura e di umanità. Ci sono dei luoghi in cui il filosofo mette in chiaro, secondo  Zanetti, una umanità uguale per tutti ed una natura inerente al genere umano; ce ne sono però altri  in cui si assiste ad una umanità che è frutto dell’azione di “enti umani”: in quest’ultimo caso si può  dire che l’umanità sia non già un punto di partenza, bensì solo un punto di arrivo. La vera natura  umana, allora, si scorge «quando il vero prevale sul certo e il processo di ingentilimento permette di  scoprire l’eguaglianza» (p. 39). Il quadro che emerge è quello relativo ad una forte complessità del  pensiero di Vico che «elabora in modo problematico linee di argomentazione che illuminano […]  questioni contemporanee cruciali in tema di eguaglianza» (p. 41). Nel mondo contemporaneo è  possibile incontrare situazioni che presentino analogie con le differenze sociali di cui parla Vico.  Zanetti fa il caso delle politiche a sfondo razzista che impongono delle credenze che istituiscono  una norma cui, alla lunga, finiscono col contrapporsi i movimenti di liberazione desiderosi di  eguaglianza. Vico ci soccorre in quanto ci consente di chiarire, mediante le oscillazioni argomentative del suo capolavoro «la complessità delle dinamiche dell’eguaglianza, con una  sensibilità filosofico-politica molto istruttiva per il lettore contemporaneo interessato a questi  problemi» (p. 49). 

Il secondo capitolo – intitolato Il Bianco e il Rosso – pone il confronto, ormai classico, fra  Hobbes e Vico in un’ottica che viene qui tutta giocata sulla importanza assunta dalle emozioni  nell’ambito della speculazione di questi due filosofi. In entrambi i pensatori, in effetti, è possibile  rintracciare una sorta di razionalità mescolata alle emozioni. Richiamandosi ad una distinzione  operata da Bernard Williams, fra emozioni bianche ed emozioni rosse, Zanetti rilegge le opere di  Hobbes e Vico inquadrandole in una originale cornice di pensiero. Le emozioni bianche, tipiche di  un occhio rivolto su se stesso, sono provate per lo più in un contesto individuale. Una emozione  bianca caratteristica è la paura che induce, in chi la prova, quello stato di choc che provoca uno  sbiancamento del volto. 

Le emozioni rosse, invece, sono appannaggio di una situazione di gruppo o collettiva. È la  vergogna la tipica forma emozionale che si estrinseca attraverso il rossore. Ora, mentre Hobbes  pone la paura come nucleo emozionale fondante, Vico è portato, invece, ad attribuire un ruolo più  significativo alla vergogna e al pudore. Nel testo l’autore richiama addirittura le biografie dei due  pensatori, individuando nella loro vita vissuta riferimenti alle sfere emotive che ciascuno avrebbe  poi assunto a fondamento del suo capolavoro. 

Il Leviatano di Hobbes nasce dal metus mortis e mantiene il metus come dato costante nella  formazione dello Stato. Nella Scienza nuova di Vico, invece, i bestioni umani sono sì scossi dalla  paura del tuono e del fulmine, tuttavia, come Zanetti fa notare, la paura dei bestioni umani è già una  forma ben precisa di vergogna, differente dalla paura “pura” che provano gli uomini di Hobbes.  D’altro canto, i bestioni primitivi di Vico avvertono la presenza di un “occhio superiore”, quello di  Giove, che provoca in loro quello stato di vergogna e di pudore da cui si sarebbero originati i  principi fondamentali dell’umanità. 

Da questa differenza inerente alla sfera emotiva discende anche una differenza di tipo  normativo: mentre infatti Hobbes predilige il riferimento alla regola regolativa, che parte  dall’esistenza dell’oggetto, in questo caso lo Stato, per imporre obblighi, divieti e sanzioni, Vico  predilige, invece, una regola costitutiva, preesistente all’oggetto considerato e prerogativa  indispensabile per la sua istituzione. La regola che emerge, quando si analizzano le pagine vichiane,  è quella che fonda le istituzioni e ne rappresenta la imprescindibile condizione di esistenza. 

La conclusione del capitolo mette in risalto il fatto che, nel riconoscimento del ruolo  importante delle “emozioni rosse”, Vico finisce col valorizzare pienamente gli individui. La  vergogna, infatti, è un sentimento che si prova solo in presenza di un altro essere di cui si ha  considerazione. È proprio attraverso l’importanza attribuita alla vergogna che Vico, secondo  Zanetti, può porre il valore fondante delle rivendicazioni dei plebei. In questo modo è legittimo  pensare che, nell’impianto del capolavoro di Vico, la sfera delle emozioni sia in sintonia con le  rivendicazioni di eguaglianza sociale, oggigiorno molto attuali in vari ambiti. 

Il capitolo terzo – intitolato Il sovversivismo dell’immanenza – inizia stabilendo una precisa  relazione fra eguaglianza, pudore e matrimonio nel contesto della Scienza nuova. Il matrimonio è  visto come l’esito più significativo della emozione rossa del pudore e, al tempo stesso, è una  istituzione che nel mondo eroico può avvenire solo fra nobili. La questione, quindi, è  fondamentalmente politico-giuridica. I plebei sono esclusi dalla possibilità di contrarre matrimoni e  sanno che devono lottare per poter acquisire questo diritto. Che cosa vuol dire, tuttavia, diritto in un contesto come quello del mondo eroico? Vuol dire essenzialmente stabilire regole condivise che, a  loro volta, sono imperniate su credenze condivise. Queste ultime sono identificabili con quelli che  oggi si chiamano fatti istituzionali (institutional facts), ossia fatti ritenuti veri dalla collettività.  Zanetti analizza, pertanto, il concetto di verità nel mondo eroico vichiano, affermando che  all’interno di questa nozione si sovrappongono diversi strati di significato. La verità del mondo  eroico è una verità poetica atta ad istituire la realtà, a stabilire differenze e a diversificare gli uomini  fra di loro. L’universale fantastico, che rappresenta la concretizzazione di questa verità, si fonda  sulla fantasia, sui sensi e sulle emozioni di tutta una collettività. L’universale fantastico assume le  caratteristiche di una norma cogente al punto tale che i famuli, quando si attediano per la loro  situazione di subordinati, non si sognano minimamente di mettere in discussione le verità normative  dell’universale fantastico. Essi attuano quella sorta di sovversivismo dell’immanenza, di cui parla  Michael Walzer, in base a cui reagiscono a quello stato di cose non allontanandosi dai valori  costituiti, ma semplicemente criticandoli dall’interno. Vico elabora, quindi, una visione filosofica  che a tutt’oggi merita di essere attentamente considerata. Tornando all’istituzione del matrimonio,  infatti, un esempio è rappresentato dalle rivendicazioni al right to marry in atto presso alcune  comunità del mondo contemporaneo e che tanto somigliano alle lotte dei plebei per raggiungere il  diritto di contrarre matrimoni, descritte nella Scienza nuova. La lotta per una maggiore inclusività  dell’istituzione del matrimonio è aspra, sostiene Zanetti, ma produce come suo esito finale un  ingentilimento dei costumi. 

22/11/2014
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