Verità politica e verità religiosa. Rileggendo “La democrazia in America”
1. L’America, pensando all’Europa.
La questione del rapporto tra religione e politica costituisce uno dei snodi più significativi della complessa visione tocquevilliana della democrazia, lo specchio in cui si riflette un liberalismo conservatore, di forte impronta aristocratica, non propenso a declinare il valore della libertà lungo i binari di quel paradigma individualistico sostenuto con forza, in quegli stessi anni, dal suo estimatore Stuart Mill. Tocqueville vede il tramonto dello stato sociale aristocratico, si accorge dell’inesorabile avanzare della democrazia, teme per le sorti della libertà. L’uguaglianza delle condizioni imprime alla libertà caratteri nuovi, bisogna evitare che il passaggio dalla libertà aristocratica alla libertà democratica1 porti con sé disordine morale e scompiglio politico; bisogna “educare la democrazia”, contenerne la spinta atomistica e disgregante. La religione risponde a questa esigenza. “L’aristocrazia aveva fatto di tutti i cittadini una lunga catena, che andava dal contadino al re; la democrazia spezza la catena e mette ogni anello da parte”2. La religione può riallacciare gli anelli di questa catena spezzata. Figura di confine tra vecchio e nuovo mondo, figura inquieta di intellettuale sospeso tra sottile nostalgia del passato e apertura al futuro3, Tocqueville individua nella religione l’ultimo baluardo dei valori passati, in fondo l’ultimo reale “potere” in grado di contrastare gli effetti negativi della democrazia. Conservare questo potere è dunque questione di fondamentale importanza. “Voglio considerare le religioni da un punto di vista puramente umano e cercare in quale modo esse possano più facilmente conservare il loro potere nei secoli democratici in cui entriamo”4. Di fondamentale importanza, di fronte alla democrazia che inesorabilmente avanza5, conciliare religione e democrazia, mostrare che esse non sono nemiche.
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