Strati di tempo. Karl Marx materialista storico

Massimiliano Tomba (Jaka Book, Milano, 2011)

Ritrovare l’autocoscienza delle temporalità 

“La modernità è un’attitudine nel senso che in essa si produce un modo, particolare e  irriducibile, di relazione all’attualità; un ethos […]. Essa coincide con la decisione che  assegna al pensiero il proprio presente come un compito” (Chignola, 2014, p. 10). Con  queste parole Sandro Chignola apre il suo recente lavoro intitolato Foucault oltre Foucault.  Questa riflessione trova una singolare affinità con il messaggio, a mio avviso centrale, del  testo di Massimiliano Tomba, Strati del tempo (Tomba, 2011). 

Fra i tantissimi spunti che il testo offre, vorrei mettere in luce quelli che sono alcuni dei  principali elementi di analisi che attraversano l’intero saggio e che possono aiutare a  comprendere meglio come possa essere individuato l’ethos a cui si riferiscono Foucault e  Chignola.  

Attuando questa operazione, verranno giocoforza accantonate alcune questioni non  secondarie presenti nel saggio. Ad esempio le illuminanti analisi dello sviluppo del pensiero  del giovane Marx e del suo rapporto con Bruno Bauer e, in generale, con i giovani hegeliani.  Vi sono poi altre ragioni per lasciare al lettore l’indagine di queste pagine. Infatti non solo  esse meritano di essere lette integralmente, ma rischierebbero di venire mortificate da  queste poche righe di recensione. 

È possibile individuare due grandi blocchi argomentativi, non disgiunti, all’interno di questo  corposo saggio di quasi trecento pagine. Il primo da cui partire è quello che si occupa di  porre le basi storico-concettuali del nostro divenire storico, in quanto cittadini europei figli  dei grandi eventi della modernità. Si può nominare facilmente ciò a cui il testo si riferisce fin  dalle prime pagine. Si tratta di affrontare quel complesso apparato di considerazioni di  matrice storica, politica e filosofica che hanno prodotto un inquadramento dell’avvento della  modernità, specie dopo il 1789. Tomba lo definisce, usando l’espressione “storiografia sotto  vuoto”, (Tomba, p. 31). Con questa formula l’autore vuole fotografare, retrospettivamente,  il modello concettuale che ha qualificato una certa visione storica, e che tuttora sparge i suoi  effetti condizionanti sulla percezione temporale della società contemporanea. Per la  precisione, secondo questa visione di storia sotto vuoto, la cosiddetta modernità si  qualificherebbe attraverso un preciso andamento storico, ossia per un progressivo e  inarrestabile venire alla luce di un unico modello politico-sociale possibile. Si potrebbe quasi  dire di essere di fronte ad una sorta di naturalizzazione e automatizzazione della dinamica  storica. Ancora di più, secondo questo modello, saremmo ormai di fronte alla definitiva  affermazione dell’autentico modo di operare sociale: quello liberale la cui matrice originaria  può essere rintracciata nella speculazione lockeana. 

Secondo Tomba questa schematizzazione storica, apologetica e un pò meccanica, potrebbe  essere smentita a partire dai molteplici eventi che, nel corso dell’età moderna (almeno), si  sono manifestati come non funzionali all’affermazione del liberalismo borghese: le insurrezioni coloniali quasi contemporanee al 1789, la richiesta del maximum, il Terrore. Ma  questo elemento d’inciampo alla storiografia sotto vuoto viene da quest’ultima facilmente  depotenziato nel suo valore politico e simbolico. Ed infatti, non è così difficile far rientrare  queste differenti temporalità storiche all’interno della uniforme fenomenologia del  liberalismo. 

È lo stesso autore a segnalarlo, citando l’espressione, di un alto esponente della storiografia  storicistica: François Furet. Per lo storico francese, ad esempio, persino il Terrore giacobino  va sbrigativamente considerato una dérapage, una parentesi breve che interrompe solo per  poco, la lunga durata dell’affermazione liberale francese (Tomba, p. 31). 

Eppure, dagli esempi citati brevemente, si intuisce che la storia è ben più ricca e forse  pluridirezionale di quanto non si tenda a pensare. Possiamo infatti facilmente vedere, nel  riferirci alla Rivoluzione francese, l’affermarsi della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del  cittadino. Tuttavia quella dichiarazione risolve solo l’aspetto formale e giuridico della  condizione dell’uomo. Ci si dovrebbe forse accontentare di questo unico risultato? Ecco una  interessante antitesi che si può ricavare dal testo: da un lato è da molto tempo in corso un  tentativo euristico che vorrebbe incanalare ciò che è accaduto sul piano storico in un  percorso unitario e coerente, dall’altro gli eventi storici sembrano eccedere questa volontà di  uniformazione. Insomma: l’unificazione contro il molteplice, l’uno contro i molti, e questi  molti sono i volti della storia, le prospettive di emancipazione, le speranze di intere  comunità. 

Il saggio di Tomba insiste, con convincente forza, proprio su questo aspetto della  molteplicità cara ad una porzione qualitativamente significativa della filosofia politica. Non vi  è una storia, non vi è un unico racconto. Il tempo non è, come si pensa, un percorso sul  quale si collocano ordinatamente gli avvenimenti che poi la storia racconta. Esistono  piuttosto delle eccedenze, delle molteplicità considerate, alla Furet, dérapage, parentesi che  farebbe comodo alla classe dominante derubricare ad incidenti di percorso, al più come  fastidiosi contrattempi.  

Ecco il concetto centrale che, credo, vada ricavato dal testo è proprio quello di temporalità  ben descritto sin dalle prime pagine. Temporalità al plurale che individuano una molteplicità  storica. Osservando questa grande ricchezza si può ricavare che: “Diverse temporalità  asincrone si combinano e confliggono fra loro. Diversi rami temporali continuano a crescere  e ad attorcigliarsi non secondo l’unico ritmo della Weltgeschichte, bensì in un multiversum”  (Tomba, p. 29). La storia è più ricca di quanto non si pensi, ma occorre rendere evidente  questa verità. 

L’operazione di smascheramento compiuta in questo saggio contiene un legame con  l’attualità fin troppo facile da cogliere, anche se il saggio si concentra, con buone ragioni, sul  periodo immediatamente post 1789. Tomba insiste infatti nel segnalare come la storiografia  conservatrice ottocentesca abbia costantemente cercato di produrre uniformazione non solo  del racconto storico ma, sul piano politico-economico, delle singole individualità operanti nei  luoghi della Restaurazione. Tradotto nel lessico della temporalità si tratta, ancora una volta,  di un tentativo uniformante. Usando il lessico caro all’autore, si può parlare di  sincronizzazione del tempo storico, ossia una riduzione dei molti ad uno.  

Quale immagine della storia e del proprio tempo emerge? Ecco come viene descritta nel  testo: “la nuova immagine della storia, che si configura in termini di processo e  accelerazione è l’effetto di un allontanamento prospettico dalle rotture rivoluzionarie: il  1789, il 1792-93, il 1830, il 1834, il 1848… I concetti politici diventano vettori temporali, democrazia, atomismo e uguaglianza diventano tendenze: democratizzazione,  atomizzazione, e livellamento. I concetti politici, temporalizzati, elidono la possibilità del  mutamento politico ponendo al suo posto quello della prefigurazione di un futuro probabile,  desiderabile, o da scongiurare. Sorge una concezione della storia aqualitativa e  intrinsecamente relativista” (p. 33-34). 

Conseguente a ciò vi è la percezione diffusa che hanno della storia i soggetti della  modernità. È l’osservatore moderno (e contemporaneo?) che ritiene di percepire  un’accelerazione del tempo storico all’interno dell’andamento processuale che mette in fila  passato-presente-futuro, quasi che tutti i più importanti avvenimenti storici stiano capitando  proprio a lui. Questo passaggio è centrale nelle intenzioni dell’autore. Infatti, è grazie a  questo incardinamento della storia in un processo, che diventa possibile collocare le  soggettività nella storia. Una collocazione che, in quanto tale, deve contenere meno  dérapage-deviazioni possibili e assegnare ad ognuno un posto coerentemente già stabilito  (scartando ogni speranza/ideale di modificazione/emancipazione/deviazione del proprio  tempo). La storia così intesa è un solco obbligato che non prevede alterità. Detto in altre  parole, la storia processualizzata e resa univoca nella sua collocazione non prevede altre  forme di soggettività, di pensiero e di prassi politica che non siano quelle smussate e  obbedienti all’andamento processuale predefinito. Si ritorna all’unificazione che sotterra il  molteplice. 

Di tale stato di cose si renderanno perfettamente conto già a pochi anni dal 1789 i  protagonisti delle diverse scuole posthegeliane. Essi si troveranno esattamente nella  condizione di osservare come le categorie di crisi e di critica siano in realtà declinazioni del  medesimo processo di temporizzazione storica. 

Difficile non ritrovare assonanze con il tempo in cui viviamo, nelle pagine in cui l’autore  descrive il rapporto, quasi drammatico, con il tempo storico che colpisce i posthegeliani:  l’epoca che ha visto affermarsi la filosofia totale hegeliana si trova di fronte un mondo in  frantumi.  

Si tratta solamente di una smentita postuma dell’hegelismo? Potrebbe sembrare che qui si  aprano inaspettati spazi per l’affermazione della molteplicità. In realtà questa frantumazione  di proposte si rivela come il carnevale della filosofia (Fastnachtszeit der Philosophie, p. 42) il  quale, rischia, simmetricamente, di indurci alla resa rispetto a qualsiasi possibilità di lettura  effettiva del divenire storico. Sembra una contraddizione: i molti producono una paralisi,  tante doxa, mentre l’unificazione hegeliana è portatrice di una cattiva totalità. 

Nel dibattito interviene il giovane Marx. In questo momento il filosofo di Treviri è ancora  molto vicino alle posizioni dell’amico Bruno Bauer. I due condividono sostanzialmente il  medesimo programma d’azione: pensare ad organizzare la prassi a partire dalla dimensione  della filosofia della critica. Proprio qui, tuttavia, Marx compie un passo ulteriore. Pensa  certamente che spetti alla filosofia proporre la rottura dell’autorappresentazione che  impedisce di pensare e di pensarsi in un’altra temporalità. Solo in questo caso la filosofia  può essere d’aiuto. Scrive infatti Tomba, evocando il pensiero di Marx, che “la filosofia  acquisisce forza epocale quando lavora a mandare in frantumi l’autorappresentazione di  un’epoca” (p. 45). La crisi posthegeliana verrà quindi declinata da Marx nei termini della  ricerca di un percorso autonomo, qualitativamente autonomo in grado di sfruttare la  contingenza storico-politica come chiave d’accesso ad una nuova dimensione temporale. Le  parti successive di Strati del tempo cercano di affrontare nel dettaglio il percorso marxiano.

La risposta a come Marx intenda costruire questo percorso di analisi del reale ci porta alla  seconda grande questione che si vuole qui analizzare. Anche contro Bauer, Marx vuole  trovare una modalità di comprensione-intervento nel reale (p. 81). Questa modalità può  essere definita, con una formula sintetica, come il “tipo” del materialista comunista (der  kommunistische Materialist) o del materialista pratico (praktischen Materialisten). Scrive  Tomba: “il materialista pratico, dando “una base materialistica alla storiografia”, lavora a  una storiografia del presente dal punto di vista del proletariato” (p. 82). 

Ecco, allo stesso tempo, un elemento in grado di unire il punto di vista eccentrico  all’esigenza dell’esegesi storiografica. Nelle parole dell’autore, questo cambio di prospettiva  operato da Marx non è una delle tante opzioni possibili. “Lo scarto determinato dal  cambiamento di prospettiva del materialista pratico corrisponde a quello tra doxa e verità. Il  proletario costretto a vendere la propria forza lavoro non è il povero in quanto indigente. È  proletario in quanto le condizioni di riproduzione della sua vita sono separate da lui” (p. 82). 

Ancora, parlando di ciò che si è originato con il modo di produzione capitalistico commenta  l’autore: “L’esperienza contemporanea appare frammentaria, ma ciascun frammento  rimanda alla stessa immagine, perché la molteplicità del fenomenico è diventata una  molteplicità di equivalenti. Il postmodernismo, là dove vuole vendere un’immagine  frammentaria del mondo, è falso. Il suo contenuto di verità risiede solo nel fatto che è esso  stesso un punto di vista indifferente. Il materialista storico si sottrae a questa indifferenza  assumendo la non indifferenza dei punti di vista. Non producendo una nuova  Weltanschauung. Lo spostamento dello sguardo, che costituisce l’autentica eredità di Marx,  ridisloca l’intero problema dall’oggettivo al vero” (p. 139). 

Ecco giunta la seconda grande parte del discorso proposto da Tomba che qui si vuole  analizzare. Quali ripercussioni si possono generare nella lettura del reale a partire da quanto  dichiarato da Marx? La storia così osservata attraverso la riflessione marxiana è divenuta  una gigantesca occasione per uscire dai binari della temporalizzazione obbligata dello spirito  dominante. In altri termini, Marx ci propone il grimaldello per aprire un varco  nell’autorappresentazione storica voluta del capitalismo industriale. 

Molto più avanti nel testo, Tomba ci mostra gli effetti che questo punto di osservazione è in  grado di offrirci rispetto alla nascente realtà capitalistica indagata da Marx. Spiega infatti  Tomba: “Rivoluzione permanente. È questa l’immagine del capitale che ci viene data dai  Grundrisse. Il capitale opera distruttivamente verso la natura e lo spazio: tende ad  annientare lo spazio attraverso il tempo. Distrugge i limiti della natura umana dilatando la  sfera dei bisogni e la varietà della produzione: il valore non esclude nessun valore d’uso; e  perciò non include nessun particolare genere di consumo ecc., di relazioni ecc., come  condizione assoluta; e parimenti ogni grado di sviluppo delle forze produttive sociali, delle  relazioni, del sapere ecc., non sono altro, per esso, che un ostacolo che esso si sforza di  sormontare” (p. 137). 

(A) In che modo il capitale riesce in questa operazione di devastazione delle condizioni  storiche precedenti? Inoltre, questa ormai evidente devastazione, dovrebbe mostrare senza  titubanze che la stessa idea di storia come processualità, ossia destinata all’avvento pieno di  democratizzazione e di emancipazione umana, è da considerarsi insostenibile. Sembra ormai  finito il tempo delle facili illusioni: il capitalismo vincente del post 1989 non è in grado di  avvicinarci ai processi di democratizzazione: non può o non vuole. Non è dal capitalismo che  ci possiamo aspettare la manifestazione hegeliana di spirito e di libertà.

(B) Ma l’umanità che ha visto all’opera i processi di produzione e di accumulazione  capitalista si è resa conto pienamente di ciò che ha iniziato ad accadere negli ultimi due  secoli?  

Per rispondere alla prima domanda (A) occorre seguire il ragionamento dell’autore alla luce  della riflessione marxiana. Il capitalismo riesce in questa sua operazione epocale grazie al  rapporto che esso detiene con, almeno, altri due elementi: lo sfruttamento e la tecnologia.  Per essere colto in tutta la sua drammatica forza, il sodalizio capitalismo-sfruttamento tecnologia deve essere indagato dal punto di vista del materialismo pratico marxiano.  Questo è l’obiettivo dell’autore. 

Ora, Marx, com’è noto, ci ha consegnato pagine chiarissime sul capovolgimento del rapporto  tra valore d’uso e valore si scambio. Lo stesso Tomba ripercorre alcune tappe significative di  questo processo sintetizzando così alcuni passaggi. Siamo di fronte ad un soggetto il quale  “consuma la pubblicità più che il prodotto. […] Il valore di scambio della merce, sussumendo  il valore d’uso e diventando la sua ragion d’essere, si è sostituito ad esso” (p. 139). 

Rispondere alla seconda domanda (B), relativa alla percezione dello stato di cose attuale,  richiede di concentrare le energie d’osservazione su un preciso rapporto terminologico e  concettuale. In particolare, a mio avviso, in questo testo così ricco di riferimenti, va fatto  risaltare il legame tra tempo-accelerazione e tecnologia. Sulla questione dell’accelerazione,  il dibattito oggi è molto vivace, come dimostra puntualmente il recente testo di Matteo  Pasquinelli (Pasquinelli, 2014). Ma la relazione problematica tra uomo e tecnologia non è  questione solo dei nostri giorni. Come dimostra efficacemente il testo di Tomba, lo stesso  Marx se ne è dovuto occupare. Infatti già all’epoca del nascente capitalismo industriale era  evidente, alle lenti interpretative del filosofo di Treviri, quanto la ricerca e l’impiego di  tecnologie fossero in grado di accelerare i processi di estrazione di plusvalore. Per tale  ragione l’autore esprime, partendo della riflessione marxiana, una visione fortemente critica  nei confronti del ruolo della tecnologia presente nei rapporti economico-sociali, oggi più che  mai. Tuttavia, non si deve pensare che, dalla genesi del capitalismo industriale fino ad oggi,  la presenza di tecnologie operanti in vari campi della vita, sia da considerarsi un dato non  più eliminabile. La ricerca tecnologica è una delle possibili forme che oggi si dà il sistema di  sfruttamento. Se così non fosse, cioè se non vi fosse possibilità di scarto dalla visione  storica che fa di tecnica e tecnologia un elemento essenziale dell’Occidente, saremmo  pienamente inseriti nella descrizione monocorde della storia di cui si è detto nella prima  parte del testo. 

È innegabile l’effetto che la tecnologia produce nel e per il sistema capitalistico. I mezzi per  lo sviluppo della produzione, riporta opportunamente Tomba adottando le parole di Marx,  “mutilano il lavoratore facendone un uomo parziale, lo avviliscono a insignificante appendice  della macchina, distruggono con il tormento del suo lavoro il contenuto del lavoro stesso, e  non solo, ma gli straniano le potenze intellettuali del processo lavorativo nella stessa misura  in cui a quest’ultimo la scienza viene incorporata come potenza autonoma; deformano le  condizioni nelle quali egli lavora, durante il processo lavorativo lo assoggettano ad un  dispotismo odioso nella maniera più meschina, trasformano il periodo della sua vita in  tempo di lavoro, gli gettano moglie e figli sotto la ruota di Juggernaut del capitale” (p. 171). 

Certo è possibile riflettere sulle opportunità offerte dal mondo dei tweet, della  comunicazione in tempo reale e delle “app” che rendono alcune operazioni del quotidiano  più semplici, ma costose in termini di controllo biopolitico. Tuttavia, anche alla luce delle  riflessioni dell’autore, l’accettazione entusiastica delle accelerazioni tecnologiche, giunte con  l’avvento del capitalismo, andrebbe fortemente ripensata. È indubbio che oggi noi ci avvantaggiamo dalle possibilità offerte dalle nuove tecnologie. Tuttavia, attenzione, il filone  del marxismo a cui Tomba si riferisce, ci ammonisce ad essere molto vigili attorno al tema  della tecnologia. 

Accade così quello che Marx argomentava nei Manoscritti: “quanto più bello e il suo prodotto  tanto più l’operaio diventa deforme assume ora, nella sofferenza di un corpo, un carattere  assoluto” (p. 173).  

Prosegue poi l’autore affermando che “tutto ciò che nella storia è stato presentato in termini  di progresso e novità non è altro che la ripetizione del dominio sulla natura e sugli oppressi.  Una catena che impedisce la storia attraverso la riproduzione di un presente mitico” (p.  173). 

Rendersi conto oggi di questa sussunzione del bios alla tecnologia capitalistica è una delle  tappe determinanti per il risveglio di una coscienza politica che sia all’altezza delle sfide  storiche che abbiamo di fronte. Secondo il ragionamento di Massimiliano Tomba, una delle  più significative questioni è da rintracciare nella violenta opera di sincronizzazione temporale  che riguarda il nostro rapporto con la tecnologia. Spesso l’immersione della nostra vita,  all’interno di una dimensione tecnologica onnipresente, viene percepita come il luogo  dell’emancipazione sociale definitiva. Insomma, finalmente, la tecnologia permetterebbe la  più alta realizzazione della libertà sociale; detto altrimenti, un venire alla luce della libertà.  Possibile che sia questa una delle più evidenti dimostrazioni del manifestarsi dello Spirito  hegeliano? Certo, questo aspetto non e l’unico né il meno violento per le nostre vite (si  pensi alle aspre sincronizzazioni che vogliono imporre le istituzioni internazionali ai paesi del  sud Europa). Tuttavia, se, come segnalato recentemente dal volume curato da Ferruccio  Gambino e Devi Sacchetto (Gambino, Sacchetto, 2015), nella produzione della famosa  multinazionale Foxconn un operaio si consuma, producendo smartphone, con lo scopo  principale di potersi comperare il medesimo smartphone, occorre fermarsi a riflettere.  Sembrerebbe infatti che il fascino della tecnologia sia diventato, oltre tutto quello che già è,  un formidabile reclutatore di proletariato alienato. 

Forse ormai è acquisita la definizione della tecnica come destino dell’Occidente, ma questo  lucido lavoro di Tomba sembra volerci far riflettere sul fatto che, abbracciando quest’ultima  visione, ci incamminiamo lungo una via obbligata e unidirezionale. Vale a dire: ci offriamo  alla rassegnata accettazione che il percorso della nostra storia: (a) si sia avviato secoli fa, e  che, (b) la sua unica direzione, non modificabile, ci imponga di accettare passivamente il  quotidiano. Sarebbe questa la dittatura di una pacifica rassegnazione secondo la quale  nessuna alternativa storica ci sia mai stata e che tantomeno sarà possibile in futuro. 

Ecco allora realizzato il capolavoro del capitale: una società in cui gli individui si rapportano  tra loro come “persone astrattamente sociali, che si rappresentano una di fronte all’altra  solo il valore di scambio in quanto tale” (p. 146). In realtà il valore di scambio, diventato  fine della produzione, accresce la ricchezza e produce nuova miseria dilatando al tempo  stesso il limite naturale dei bisogni umani. Ecco quindi il compito accademico, etico e politico  che Tomba affida alle pagine sul giovane Marx: mostrarci un’attitudine infaticabile all’analisi  e alla problematizzazione del proprio tempo. 

Considerando tutto ciò si possono, a mio avviso, meglio capire le ragioni per cui l’urgenza di  una ripresa del materialismo pratico oggi non è più differibile. Sono trascorsi molti anni  dall’inizio della crisi e sono trascorsi quattro anni dalla pubblicazione di questo testo. Oggi,  l’urgenza di riappropriarsi degli strumenti d’analisi del materialismo marxiano è ancora più  evidente. Essa ci invita a sospettare di alcuni elementi del nostro vivere che consideriamo scontati. Questo testo offre quindi al suo lettore la possibilità di ricominciare un percorso di  analisi delle dinamiche sociali, sottraendosi criticamente a quanto viene incessantemente  ripetuto dal punto di vista borghese, e amplificato dai media mainstream, fino a diventare  senso comune difficilmente scalfibile. 

Ecco quindi per quali ragioni il testo di Tomba ben si sposa con le riflessioni foucaultiane  sulla modernità proposte da Chignola. Insomma, come sostiene Tomba citando Kierkegaard:  “si sta nella modernità prendendo posizione su di essa. A ciò è chiamato il singolo filosofo”  (p. 41). 

20/12/2015
Data
Autore

Non utilizziamo cookies di tracciamento degli utenti o di profilazione. Per saperne di più puoi visitare la pagina relativa ai cookies.