Montesquieu, Breviario del cittadino e dell’uomo di Stato

Domenico Felice (Edizioni ETS, Pisa, 2011)

Questo recentissimo volumetto dedicato a Montesquieu, il principale esponente del pensiero  politico europeo della prima metà del XVIII secolo, è un breviario che, come il curatore Domenico  Felice precisa, riprende dal contesto culturale del tempo tale fortunata forma letteraria cercando  però, attraverso la selezione di passi tratti dalle tre opere maggiori del celebre filosofo bordolese (le  Lettres persanes, le Considérations sur les Romains e l’Esprit des lois), di sottoporre all’attenzione  del lettore odierno contenuti e argomentazioni vicini alla nostra epoca.  

Il volumetto si configura come un gioco di specchi capace di attivare, una volta che il lettore  ne abbia compreso la strutturazione, un felice concatenamento di problemi ed aspetti assai diversi  tra loro sia cronologicamente che filosoficamente. Quello che rende possibile questo gioco,  restituendo nuova luce alla raffigurazione, è l’estrema attualità di non poche tesi montesquieuiane,  così rigogliose dopo più di duecentocinquant’anni dalla loro esposizione.  

La quadripartizione (politica, economia, religione e morale) imposta all’opera da Felice,  rispetta pienamente lo sviluppo – anche in ordine gerarchico – del pensiero dell’autore di La Brède. La sezione riguardante l’ambito politico risulta la più corposa e complessa. Ciò che emerge  primariamente da essa è la concezione delle diverse forme di governo in connessione con lo  sviluppo delle leggi e della vita associata.  Indicando nel dispotismo un fenomeno esclusivamente orientale, Montesquieu opera una  forte caratterizzazione dell’Europa come culla del vivere civile1. Il fondamento di tale superiorità  risiede prima di tutto nella libertà politica propria a molti paesi europei. Tale libertà deve essere  fondata sulle leggi che altro non sono che il rapporto che intercorre tra l’individuo e l’umanità.  Ponendo come fine ultimo il bene del genere umano, la formazione ed il rispetto delle leggi divengono una tappa imprescindibile per addivenirvi. Il principale aspetto negativo della forma di  governo dispotica è certamente la mancanza di leggi. Quando dalla legge si passa all’arbitrio, ogni  cosa è perduta. Nel mondo occidentale, però, tutto è fondato sulla libertà che viene assicurata dall’equilibrio dei poteri. Qui si perviene all’eredità più feconda dell’autore di La Brède: la  separazione dei tre poteri governativi. Affermazioni come «il capolavoro della legislazione consiste  nel saper collocare il potere giudiziario» (p. 41) e «non vi è libertà se il potere giudiziario non è  separato dal potere legislativo ed esecutivo» (ibid.) colpiscono l’attenzione di un nostro contemporaneo come colpirono quella di un uomo del Settecento contrario al modello della  monarchia assoluta proposto e incarnato da Luigi XIV. Parimenti, il rilievo attribuito da  Montesquieu alla conoscenza secondo ragione come argine alla schiavitù2 può fungere da stimolo  alla contemporanea discussione sulla convenienza (pubblica) e sull’utilità di politiche inerenti  all’istruzione e alla cultura. 

Diverse considerazioni dedicate da Montesquieu agli aspetti economici del vivere associato  non hanno perso, dopo due secoli e mezzo, un potere evocativo, per non dire esortativo. Vediamone  qualche esempio: «Le ricchezze sono una via subdola per raggiungere il potere» (p. 58), «nei paesi  dove non ci si preoccupa che del commercio, si fa mercato di tutte le azioni umane e di tutte le virtù  morali: le più piccole cose, persino quelle che lo spirito di umanità esige, vi si compiono o vi si  danno a pagamento» (p. 61), per concludere «negli Stati moderni, vi è una contropartita per la  pesantezza delle tasse: la libertà» (ibid.). Queste ed altre riflessioni mostrano come la teorizzazione  montesquieuiana resti, in parte, attuale anche in un contesto economico-commerciale totalmente  mutato, quale quello odierno, caratterizzato dalla globalizzazione. 

Secondo il celebre Bordolese, inoltre, religione e morale devono collaborare allo scopo di  garantire quanto più possibile il rispetto delle leggi ed il suo corretto costituirsi. Se il potere  religioso e il potere politico non devono mai oltrepassare le rispettive sfere di appartenenza, essi  sono però tenuti a cooperare per il bene comune dell’umanità: «Dio ama gli uomini, dato che ha  stabilito una religione per renderli felici, e che, se Egli ama gli uomini, si può essere certi di  piacerGli amandoli a propria volta e non violando le leggi sotto cui essi vivono» (p. 71). Partendo  da questa argomentazione, non certo priva di spirito filosofico, Montesquieu giunge alla  conclusione che «non si deve regolare per mezzo delle leggi divine ciò che deve essere regolato con  quelle umane» (p. 75) e viceversa. In fatto di morale, il chiaro riferimento alla raison illuminista  diviene scontato quanto suggestivo: «le conoscenze rendono miti gli uomini; la ragione porta al  senso di umanità, sono solo i pregiudizi che ci allontanano da esso» (p. 96). 

Essendoci impegnati a porre in risalto, brevemente, gli spunti di riflessione che il pensiero  del Bordolese suscita nel mondo odierno, non ci sembra di sbagliare sottolineando la portata  intellettuale dell’opera che qui si presenta. La finzione della negazione dell’autore viene  chiaramente risolta nella volontà di far parlare Montesquieu. Il quale di fatto parla, ma con voce  amplificata, proponendosi così all’attenzione di chi sappia ascoltare. Questo gioco di ombre viene  completamente svelato dalla citazione finale: «non bisogna mai esaurire un argomento al punto di  non lasciare nulla da fare al lettore. Non si tratta di far leggere, ma di far pensare» (p. 98). È ancora  Montesquieu che parla. La liceità dell’operazione intellettuale e letteraria sembra rintracciabile nelle  stesse espressioni utilizzate dal filosofo di La Brède: «il peggior difetto dei giornalisti è che parlano  solamente dei libri nuovi; come se la verità fosse sempre nuova. Mi pare che, fin quando un uomo  non abbia letto tutti i libri antichi, non ha alcun motivo di preferire a essi quelli nuovi» (p. 95).  

Questo Breviario del cittadino e dell’uomo di Stato assolve dunque implicitamente uno dei  compiti più ardui della ricerca filosofica, quello di rispondere alla domanda: «A che cosa serve la  filosofia?». Serve anche a formare cittadini e uomini di Stato. 

30/10/2011
Data
Autore
Montesquieu
Allegato

Non utilizziamo cookies di tracciamento degli utenti o di profilazione. Per saperne di più puoi visitare la pagina relativa ai cookies.