Laicità solida. Sul rapporto fra religioni e istituzioni repubblicane nell’era della politica “post-metafisica”
Le democrazie occidentali affondano le loro radici nel contesto normativo della filosofia dell’Illuminismo europeo che si avviava, 250 anni fa, a dichiarare guerra al potere di quella religione orientata all’aldilà nel nome dell’individuo dotato di ragione. Da allora, l’idea di un «utilizzo pubblico della ragione» (Kant) conferisce al progetto democratico moderno una dignità specificamente laica, sganciata dalla priorità di verità religioso-metafisiche.
Quale rilevanza politica in questo progetto resta per le comunità religiose costituite è pertanto una questione non poco dibattuta; così come oggetto di riflessione è la questione delle risorse di motivazione dalle quali la repubblica laica può ancora trarre i fondamenti sociali e morali della propria esistenza, non potendo più appellarsi a fonti di legittimazione trascendenti. Resta fermo il fatto che un programma di autogoverno democratico nel medium della ragione pubblica può rendere giustizia alle proprie ambizioni solo se i cittadini sono nelle condizioni di stabilire una sfera durevole di autocomprensione, politicamente e moralmente esigente, e di comprendersi non esclusivamente come individui privati che «si limitano a rivolgere, come armi, l’uno contro l’altro, i propri diritti soggettivi».
Su questo sfondo intendo qui di seguito abbozzare il profilo di normatività della modernità politica come progetto in tutto e per tutto laico che, tuttavia, deve combattere con le rilevanti insicurezze della profanità; si tratta di insicurezze che ostano non poco – tanto dal punto di vista del diritto costituzionale quanto da quello della società civile – nella ricerca di un rapporto appropriato con la pluralità religiosa dello Stato che possa orientarsi al modello di un’autocosciente coesistenza pubblica fra religioni e repubblica.
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