Individuo e comunità nella filosofia politica di G. W. Leibniz

Basso Luca (Rubbettino, Soveria Mannelli 2005.)

Le righe conclusive dei Nuovi Saggi suonano: «E quando considero quanto hanno progredito gli uomini in conoscenza da un secolo o due, e quanto sarebbe facile per loro procedere incomparabilmente più avanti per diventare più felici, non dispero che si possa pervenire a qualche miglioramento considerevole, in un tempo più tranquillo, sotto qualche gran principe che Dio potrà far sorgere per il bene del genere umano». Di questo «tempo più tranquillo» il “secolo lungo” non avrà contezza, paradossalmente convinto, con lo stesso Leibniz, che il progresso è l’inferno dei dannati. Rimbaud: «Le progrès. Le monde marche. Pourquoi ne tournerait-il pas?» (Une saison en enfer). 

Non solo il male esiste per Leibniz, ma esso esiste necessariamente: la suprema ironia divina fa sì che i dannati lascino involontariamente libera una quantità infinita di progresso possibile e la loro punizione ‘in vista’ del bene generale assicurato dal progresso non fa leva su una logica di reversibilità (e dunque compensativa) dei fenomeni, ma esattamente sulla loro impossibilità.

[Per leggere di più, vedi allegato]

15/09/2007
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