Il molteplice infinito è uno: la modernità di Giordano Bruno
1. La filosofia di Bruno si snoda a partire da un assioma di proporzionalità enunciato da Aristotele e secondo il quale ciò che è generato è della stessa specie di ciò che lo genera (cfr. Metafisica VII, 7, 1032 a 23-24 e anche IX, 8, 1049 b). Se Dio è infinito, dunque, lo è anche l’universo. Forzando l’uso che il cristianesimo fece del testo aristotelico, Bruno, al contempo, mostra l’insufficienza della riflessione aristotelica che, rifiutando l’idea di un infinito in atto, rende impossibile affrontare la questione del rapporto tra Dio e l’universo.
L’ibridazione bruniana di categorie e problemi rivela la sua originalità nel momento in cui, stabilendo un rapporto tra due infiniti (Dio e universo), dissolve in un colpo solo l’universo aristotelico-tolemaico (e, per alcuni versi, anche quello copernicano) e uno dei caposaldi della teologia cristiana: la distinzione tra potentia Dei absoluta e potentia Dei ordinata. L’esito è una tesi rivoluzionaria, per l’epoca e non solo: il molteplice infinito è uno.
In questo contributo vorrei sondare, sebbene in forma contratta, alcune implicazioni di questa tesi in relazione alla questione della modernità di Bruno. Prendiamo il seguente passo come esempio: Non bisogna dumque cercare se estra il cielo sia loco, vacuo, o tempo; perché uno è il loco generale, uno il spacio inmenso che chiamar possiamo liberamente vacuo: in cui sono innumerabili et infiniti globi, come vi è questo in cui vivemo e vegetemo noi. Cotal spacio lo diciamo infinito, perché non è raggione, convenienza, possibilità, senso o natura che debba finirlo: in esso sono infiniti mondi simili a questo, e non differenti in geno da questo; perché non è raggione né difetto di facultà mentale, dico tanto potenza passiva quanto attiva, per la quale, come in questo spacio circa noi ne sono, medesimamente non ne sieno in tutto l’altro spacio che di natura non è differente et altro da questo.
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