I diritti sociali. Un percorso filosofico-giuridico

Thomas Casadei (Firenze University Press, Firenze, 2012)

Quello sui diritti sociali rappresenta un classico ma mai concluso dibattito politico-istituzionale e  accademico. Nei recenti anni questo dibattito sembra complicarsi sempre di più ed essere oggetto di  attenzione costante e controversa per gli studiosi.  

Il percorso filosofico-giuridico sul quale s’incentra il lavoro di Thomas Casadei verte sui nessi  tra diritti sociali ed eguaglianza, tra Stato sociale e cittadinanza. Si tratta di un percorso aperto verso le  prospettive e gli argomenti filosofico-politici, le dottrine costituzionalistiche e giuslavoristiche.  Anzitutto, esiste una doppia valenza dei diritti sociali: la prima è di prestazione, implicante un’istanza  di giustizia retributiva; la seconda è di partecipazione, inerente a una richiesta di giustizia inclusiva e  democratica. Quest’ ultimo caso costituisce l’aspetto più interessante e originale del libro, in quanto  Casadei sottolinea che i diritti sociali possono essere uno strumento di promozione o di limitazione  delle libertà fondamentali. Tale natura dei diritti sociali è stata per lungo tempo oscurata: la maggior  parte della dottrina non l’ha riconosciuta. Le questioni salienti che ruotano attorno alla dimensione  partecipativa e democratica dei diritti sociali dipendono dai modi di interpretare il nesso libertà eguaglianza, il modo con il quale si concepisce l’individuo in rapporto alla società, l’idea stessa di  democrazia, la maniera di affrontare le disuguaglianze in ambito locale e globale. Queste diverse  problematiche sono affrontate nei tre capitoli che compongono il lavoro.  

Casadei affronta le origini dei diritti sociali attraverso una discussione dell’opera di Thomas  Paine, esponente significativo della filosofia politica e giuridica del Settecento. In particolare, l’Autore  si dedica alla ricostruzione e alla giustificazione giuridico-normativa dei diritti sociali nell’opera  dell’“uomo delle due rivoluzioni” (quella americana e quella francese). L’interpretazione consolidata  del pensiero di Paine vede questi come paradigma del “liberalismo borghese” e dello “Stato minimo”,  ove il governo è considerato un «male necessario»; Casadei offre invece degli scritti di Paine una  lettura diversa e originale. Questi muove dal richiamo alla natura per articolare i diritti. L’uomo,  infatti, possiede «diritti naturali» che costituiscono il fondamento normativo dei «diritti civili» e, più in  generale, dei «diritti dell’uomo». Per Paine è necessario l’intervento dello Stato affinché i cittadini  esercitino in concreto i loro diritti. La legge, dunque, assume una funzione promozionale dell’esercizio  dei diritti. Legge è libertà, e libertà è legge. Il linguaggio dei diritti diviene così il linguaggio stesso  della politica. In questo nuovo contesto i diritti civili, quelli politici e quelli sociali si co-implicano,  sostenendosi vicendevolmente. Tuttavia, ciò non è pensabile senza i concetti di «solidarietà» e  «reciprocità», nell’ambito dei quali i diritti assumono senso, non solo come pretese individuali ma  anche come dimensioni relazionali. Su questo sfondo, la proprietà non è un diritto antiegualitario, ma  strumento di espansione della stessa eguaglianza. Diventa, cioè, uno strumento che va limitato per  motivi di giustizia sociale. I diritti sociali si legano così alla cittadinanza poiché spettano a ogni  individuo inteso come cittadino. Sullo sfondo di una stretta correlazione tra diritti e doveri s’innesta,  pertanto, quella tra interessi e socialità. Paine – sottolinea Casadei – va così oltre il liberalismo  borghese dello Stato minimo. Ciò si vede chiaramente nella trattazione di una questione centrale come  quella della povertà: fattore non solo occasionale ma sociale e consolidato, essa va intesa come un  «fatto collettivo». Agli occhi di Paine, lo Stato minimo realizza la libertà degli individui in quei paesi ove le diseguaglianze non sono consolidate e laddove esiste una forte mobilità sociale, come gli Stati  Uniti d’America delle origini; nei paesi europei, invece, caratterizzati da fortissime diseguaglianze, una  concezione minima delle istituzioni tende a ostacolare il bene comune. La tassazione può essere allora  concepita come strumento di garanzia dei diritti sociali e come sistema che può far fronte alla povertà.  Sotto questo profilo, Paine elabora uno dei primissimi programmi sull’uso dello strumento fiscale per  ridistribuire il reddito e promuovere la giustizia sociale. In tal modo, l’assistenza non assume la veste  della «carità», ma quella del diritto e della politica democratica. Per queste ragioni, Paine è considerato  da più parti come un precursore del basic income. Negli ultimi decenni il c.d. «reddito minimo  garantito» è divenuto un tema centrale nel dibattito sul Welfare State e costituisce una possibile scelta  strategica che, tuttavia, divide gli studiosi e il mondo politico. Secondo i suoi sostenitori, infatti, si  tratterebbe di una proposta di intervento economico egualitario in grado di produrre piena cittadinanza,  economica e sociale. Dunque, il reddito minimo sarebbe capace di promuovere una maggiore libertà  individuale e una maggiore eguaglianza. I critici del basic income non ne condividono la sua pretesa  giustificazione etica. Uno degli argomenti più famosi proposti, a questo riguardo, è quello del  «paradosso del surfista»: un individuo che sceglie di non lavorare non dovrebbe percepire un reddito  minimo. Non lavorando, pur potendo, i cittadini si rifiutano, infatti, di partecipare alla cooperazione  sociale e alla politica che favorisce l’inclusione. Entro questo approccio, il governo non può essere  neutrale fra coloro che contribuiscono al bene economico e quelli che non vi contribuiscono.  

Casadei viene attraverso queste vie a concentrarsi sulla tesi della «cooperazione conflittuale»  che traccia l’idea di un «diverso Welfare» (illustrata in particolare nel terzo capitolo del volume).  L’affermazione del lavoro come bene fondamentale anche per l’esercizio della libertà e che, dunque,  ha legami strettissimi con la cittadinanza e con la concezione della democrazia sociale e repubblicana è  basata su spazi di cooperazione e di conflitto. Ne deriva anche una concezione di società in cui gli  individui si riconoscono in uno schema di cooperazione al cui interno però sono presenti conflitti tra  diritti, cioè tra rivendicazioni individuali e tra rivendicazioni collettive. Dalle riflessioni dei sostenitori  del basic income, dei critici dello stesso e dall’«argomento della cooperazione conflittuale» emerge,  secondo Casadei, l’ipotesi di procedere, prendendo spunto dai principi fondamentali dalla Costituzione  italiana, all’allargamento del Welfare lavoristico: l’idea di fondo è che si dovrebbero pensare forme di  garanzie del reddito legate a un percorso verso il lavoro e a sostegno delle persone nelle interruzioni  del lavoro e forme di garanzia nell’accesso ai servizi. Di qui l’importanza di rendere effettiva la vasta  gamma dei diritti sociali. 

Riguardo alla problematicità della questione teorica dei diritti sociali, Casadei prende in esame  alcuni argomenti, specie nel secondo capitolo dell’opera: la relazione sussistente tra «diritti di libertà»  e «diritti sociali» intesi come «diritti fondamentali»; la questione del «costo dei diritti»; il problema  della «giustiziabilità» dei diritti sociali. In particolare, scrive Casadei: «La categoria dei diritti sociali si  presenta come una figura costitutivamente “in bilico”: sia per come essa appare ad una riflessione di  teoria del diritto, sospesa tra il riconoscimento e il misconoscimento […], sia per come viene  presentata a livello di politica del diritto nelle architetture delle moderne liberaldemocrazie, sospesa tra  il conferimento di una rilevanza centrale per realizzare e promuovere la libertà e l’essere circondata da  un forte alone di sospetto per i suoi possibili esiti di limitazione della libertà stessa» (p. 28). Con  questa originale affermazione, Casadei esprime efficacemente il senso controverso della questione dei  diritti sociali. Questi ultimi, infatti, sono considerati – da più parti – un oggetto ontologicamente inconsistente rispetto ai diritti di libertà che tradizionalmente sono intesi come universali e prioritari  rispetto ai diritti sociali. In questa chiave di lettura, i diritti di libertà sarebbero a costo zero; quelli  sociali, invece, implicherebbero pesanti oneri. Casadei, a questo riguardo, nota che anche le tipiche  libertà negative comportano interventi e costi pubblici e, inoltre, che tutti i diritti hanno problemi di giustiziabilità, relativi cioè all’effettiva applicazione degli stessi. Se è così, occorre allora interrogarsi  se esista davvero tale contrapposizione tra diritti di libertà e diritti sociali e se non si dovrebbe  nuovamente rivedere questa classica distinzione. Casadei, seguendo anche alcune recenti teorizzazioni  di Luigi Ferrajoli, arriva alla conclusione che i diritti sociali sono diritti fondamentali a pieno titolo.  L’autore aggiunge però, a questo proposito, una interessante prospettiva sulla quale riflettere:  «Anziché una contrapposizione (che genera incompatibilità, ovvero pone un “abisso” tra le diverse  figure dei diritti) si può allora presupporre una reciproca e costitutiva implicazione tra diritti di libertà  e diritti sociali: la garanzia dei diritti di libertà è condizione perché le prestazioni sociali dello Stato  possano essere oggetto dei diritti individuali; la garanzia dei diritti sociali è condizione per il buon  funzionamento della democrazia, quindi per un effettivo godimento delle libertà civili e politiche» (p.  49). Casadei abbraccia, dunque, il c.d. argomento della triangolazione: esso disegna i diritti di libertà,  i diritti politici e i diritti sociali nella configurazione di un triangolo che, rompendo la logica binaria,  instaura un’implicazione triadica attraverso la quale si genera un sistema dei diritti che presuppone il  loro reciproco sostenersi e la loro reciproca «interdipendenza» e «indivisibilità». In tale sistema, i  diritti sociali hanno non solo un ruolo di assistenza e di sostegno, ma soprattutto assumono una  funzione abilitante, cioè una valenza attivistica: «Essi prefigurano prestazioni da parte delle istituzioni  (libertà garantita sotto diverse forme), ma anche partecipazione alla vita sociale e collettiva da parte  dei soggetti individuali (libertà attiva)» (p. 52). Solo nella triangolazione è possibile rinvenire le basi  per una piena cittadinanza, in grado di determinare anche il bilanciamento tra diritti e la ricerca di un  equilibrio tra diritti e questioni pubbliche, tra principi e politiche istituzionali.  

Il titolo delle conclusioni è molto efficace, e riassume il senso filosofico della tesi di fondo  sostenuta da Casadei: ripartire dalle origini. Presupposto essenziale della trattazione, come si è  accennato, è il lavoro di Paine, che è tra i primi a considerare i diritti sociali come fondamentali.  Questa memoria originaria non va dimenticata, giacché racchiude un nucleo di valori da cui traspare la  concezione del costituzionalismo che ruota attorno ai diritti. All’interno dello Stato nazionale e nel  contesto europeo e globale, la portata partecipativa e democratica dei diritti sociali non va  abbandonata, ma riconosciuta, difesa e sviluppata, come l’autore ha fatto in questo lavoro. 

18/10/2014
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