Giustizia globale. Problemi e prospettive

Sciacca, F (Rubettino, Soveria Mannelli, 2011)

Questo volume collettivo, la cui pubblicazione è legata ai Seminari catanesi di  filosofia politica ed è frutto di ricerche comuni dei vari autori, si indirizza a fornire una  utile mappatura della questione della giustizia globale e dei concetti e temi cruciali che  ad essa si associano. Esso, quindi, tratta una serie di argomenti spesso ritenuti tra i più  importanti e influenti della filosofia politica contemporanea. Nel volume si ritrovano  interventi più generali di studiosi affermati, come soprattutto Kymlicka e Veca, e  contributi più settoriali di ricercatori più giovani. 

Il testo si apre appunto con il saggio di Kymlicka dedicato ai diritti delle  minoranze, che negli ultimi anni hanno costituito un tema importante non solo per la  filosofia politica ma anche, molto concretamente, per il diritto internazionale. Kymlicka  coglie a tal proposito, attraverso una disamina puntuale, come “nuovi standard sui diritti  delle minoranze sono emersi all’interno del diritto internazionale allo stesso tempo che  nuove teorie sul multiculturalismo liberale sono emerse in filosofia politica” (p. 97). Il  punto è che però, secondo Kymlicka, esistono limiti all’ampiezza con la quale il diritto  internazionale può servire come veicolo per promuovere il multiculturalismo liberale:  gli standard del diritto internazionale e quelli del multiculturalismo, infatti, convergono  più strettamente nell’area dei diritti indigeni, mentre c’è una maggiore divergenza  rispetto ai diritti degli immigrati. In definitiva, le categorie principali usate nelle teorie  del multiculturalismo liberale sono radicate in particolari regioni del mondo e  potrebbero non funzionare bene su scala globale, anzi esacerbando contrasti etnici. 

Se si tiene presente già questo iniziale discorso, pervenire a una teoria della  giustizia globale, è, secondo Veca, il cui contributo occupa il secondo capitolo del  volume, “il compito principale della filosofia politica” (p. 41). Veca argomenta le sue  tesi riallacciandosi ai contributi di Nagel e sottolineando la centralità delle istituzioni  politiche: in quest’ottica egli è portato a ritenere che il primo passo nella direzione di  una teoria della giustizia globale sarà quello di saggiare la legittimità delle istituzioni  internazionali che vi sono e anticipare la fattibilità delle istituzioni internazionali che  dovremmo poter desiderare per il futuro. 

Da questi primi due saggi del volume, il lettore può iniziare a comprendere  come, evidentemente, quando si parla di giustizia globale, entri quasi inevitabilmente in  gioco il problema del pluralismo culturale e su questo nesso si impernia il terzo saggio  del libro, scritto da Alfieri, che declina l’argomento in particolare rispetto al dialogo  inter religioso. Da questo punto di vista, Alfieri ritiene esplicitamente che “pensare allo  stato come un’istanza superiore alle religioni, dotato di un proprio autonomo  fondamento di verità che è l’unico che possa valere per l’intera collettività, tutelando le  religioni unicamente nell’ambito della sfera privata, (…) equivale a commettere un  gigantesco errore di prospettiva”(p. 72). Quindi, per Alfieri, lo stato, in senso  autenticamente laico, deve dare la possibilità di cercare ragioni di vita confrontandoci  con l’infinito, non ossificarle dentro costituzioni legali. Laicità significa che lo stato  cede ugualmente il campo davanti a tutte le religioni, “non che si sforza di ridurle tutte  all’insignificanza di gusti personali”(p. 73). 

Il discorso filosofico sulla giustizia globale si completa, nel quarto capitolo del  libro, con il contributo del curatore dello stesso, Fabrizio Sciacca, che ritiene pensabile  l’idea di giustizia globale solo se si mette fuori di scena dall’ordine internazionale il  significato tradizionale assegnato all’etica. Il nodo della sua argomentazione si può  rinvenire nella rinuncia a definire giusto l’ordine globale, “per carenza ontologica e  strutturale di materiale argomentativo (giusto rispetto a cosa?)” (p. 86). Dobbiamo, dunque, secondo Sciacca, tornare a un ordine globale vincolato dal diritto  internazionale, con la sue debolezze e parzialità, “ma almeno formalmente sussunto da  regole giuridiche” (p. 87). 

I capitoli successivi del volume, dopo queste prospettive più marcatamente  teoriche e concettuali, toccano punti più settoriali e specifici. Brudholm, così, si occupa  di crimini dell’odio (ossia quei crimini motivati dal pregiudizio o dall’odio dell’autore  verso certe identità di gruppo, sessuali o etniche, ecc.) rispetto ai diritti umani; Renzo  sviluppa una critica del principio del danno internazionale, concentrandosi sul tipo di  danno inflitto alle vittime anziché fare appello al fatto che le vittime vengono trattate in  base a caratteristiche che sono al di là del loro controllo, o al fatto che tali crimini  pongono rischi alla pace o alla sicurezza internazionale; Maimone si sofferma sul tema  delle appartenenze, difendendo il modello politico centrato sulla democrazia  deliberativa, ritenuto in grado di garantire il giusto grado di partecipazione e inclusione,  armonizzando le istanze interculturali; Spoto, da parte sua, analizza la rivolta come  prospettiva di analisi dell’immigrazione, invitando a sgombrare il capo da posizioni ideologiche sul fenomeno dell’immigrazione, ridimensionando nel dibattito teorico  sull’immigrazione l’eccessiva importanza delle questioni culturali; e, infine, Russo,  considera i confini politici e simbolici dell’accesso globale alle cure, ponendo in luce il  problema di una concezione occidentale di cura probabilmente non sempre  armonizzabile con quella dei paesi poveri non occidentali. 

Tutti i saggi proposti dal libro curato da Sciacca, che abbiamo qui cercato necessariamente di sintetizzare nelle loro tesi fondamentali, contengono spunti per più  ampie e eterogenee riflessioni, contribuendo a dare una visione articolata del vasto  universo teorico che ruota attorno al dibattito sulla giustizia globale.  

22/07/2014
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