Etica del Reale. Kant, Lacan

Alenka Zupančič (Orthotes Ed., Napoli, 2012)

L’interesse che può suscitare l’opera della filosofa slovena Alenka Zupančič, docente all’European  Graduate School e ricercatrice presso l’Istituto di Filosofia dell’Accademia Slovena delle Scienze, è  molteplice e abbraccia vari ambiti del conoscere: da quello più squisitamente psicoanalitico a quello  etico, a quello estetico, passando anche attraverso una serie di riflessioni di natura prettamente  filosofico-politica. 

Come ha messo bene in evidenza Luigi Francesco Clemente nella sua introduzione (pp. 31-36),  l’autrice mira a rileggere la più inattuale delle lezioni proprie della filosofia pratica kantiana con la  lente di Jacques Lacan alla mano. Tra le più immediate conseguenze di questo esercizio vi è la  sottolineatura dell’«eccedenza» dell’«etico» rispetto al «giuridico», dove l’eticità appare quasi come un  sinonimo di creatività-capacità creativa del bene e dove l’etica permane nella sua «zona di rispetto»,  che poi è «zona franca» da qualsivoglia condizionamento. 

La Zupančič si mostra così come allieva di Kant, pronta a difendere il maestro da chi lo  continua ad accusare di vizio formalista, e insiste perciò sullo stretto legame tra atto etico e realtà, tra  scelta morale e contesto. 

Preziosa per comprendere questo tipo di approccio è l’intervista rilasciata dall’autrice al  curatore e intitolata «Kant in Ljubljana» (pp. 11-19): essa, tra l’altro, chiarisce la genesi del testo, che  qui viene tradotto dall’edizione inglese (2000), ma che è apparso anche in tedesco (1995) e, con  un’edizione ampiamente rivista, in francese (2009). Non solo: tale intervista permette di ricostruire  anche una sorta di ‘aggancio’ tra le ricerche relative a Kant e Lacan e quelle che la Zupančič ha portato  avanti successivamente e che sono, per esempio, alla radice di saggi come The Odd One e Why  psychoanalysis? Three Interventions, editi nel 2008 (cfr., in particolare, pp. 17-19). 

Alla base delle considerazioni svolte nel volume sta sicuramente il lavoro interpretativo della  Scuola Psicoanalitica di Ljubljana, ma anche un articolato coinvolgimento interdisciplinare che,  proprio attraverso Kant e Lacan, offre l’opportunità di ricostruire un originale quadro architettonico del  pensiero moderno e contemporaneo. Quello che ne scaturisce è un punto di vista alternativo rispetto ad  alcuni schemi tradizionali, che fa tornare alla mente più volte l’eco delle provocazioni di Slavoj Žižek,  al quale si deve, peraltro, l’efficace Prefazione all’opera (pp. 21-27). In essa si ricorda perché è  necessario «lottare per Kant»: per il Kant della rivoluzione etica, per il Kant della soggettività  moderna, per il Kant che appunto trascina prepotentemente dalla sua parte Lacan. «Contro l’etica  utilitarista, come contro quella cristiana: è falso – scrive Žižek – cercare di fondare l’etica su un  qualche calcolo dei piaceri o dei profitti […] o di allargare questo calcolo fino a includere il nostro  scambio con Dio stesso» (p. 23); e, d’altra parte, la stessa Zupančič ribadisce come per Kant possa  darsi un’univoca versione del bene morale, definibile come tale esclusivamente se si ha a che fare con  «un atto compiuto in conformità con il dovere e solo per amore del dovere» (p. 81). L’autrice non  dimentica, tuttavia, di ricordare alcuni residui di ambiguità del discorso kantiano sulla natura di ciò che  è atto etico, residui rilevabili sia nella Fondazione della metafisica dei costumi sia nella Critica della  ragion pratica

Tra gli otto capitoli che compongono il libro, cui segue una sorta di appendice delle  conseguenze più o meno logiche relative alle tesi argomentate prima (pp. 263-272), pare opportuno  segnalare come centrali, in particolare, il quinto e l’ottavo. 

Il quinto capitolo segna, con un suggestivo paragrafo dagli accenti tutti lacaniani intitolato «Il fantasma entro i limiti della sola ragione», il passaggio dall’introduzione kantiana del postulato  dell’immortalità dell’anima a una problematizzazione di tale questione come, in realtà, della questione  fondamentale dell’immortalità del corpo (cfr., nello specifico, pp. 105-106). Qui, ancora una volta,  Kant viene letto con gli occhi di Lacan, che a sua volta chiama in causa Sade nel contesto di una  straordinaria, e insieme singolare, prossimità tra il filosofo di Königsberg e il marchese de La  Philosophie dans le boudoir ou Les instituteurs immoraux.  

Quanto poi all’ottavo capitolo, esso tematizza l’etica e la tragedia in psicoanalisi anche grazie  all’immagine di un Edipo assunto quale perfetta incarnazione dell’oggetto, nonché simbolo  dell’autoreferenzialità delle cose (cfr. p. 216); ma non solo: lo stesso Edipo, nel mentre «entra nel  simbolico», è visto soprattutto come colui che uccide la «Cosa» (Cosa/Madre/Jouissance-godimento)  «con le parole» piuttosto che «con la forza»; in altri termini, si potrebbe dire, con l’astuzia di una  risposta, piuttosto che con la violenza di un atto. Ed è questo, in ultima istanza, l’esito filosofico politico, nonché pratico, della riflessione svolta nel volume. 

20/10/2013
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