Dove va la filosofia politica?
Intervento di Luigi Alfieri a partire dall'intervista a Laura Bazzicalupo
Mi può dare una definizione di ciò che è, per lei, la filosofia politica?
Laura Bazzicalupo:
Una definizione è difficile. Perché potrei rispondere semplicemente che riconosco in quei termini tutto quanto è stato nel tempo considerato pensiero politico o filosofia politica, dunque modalità diversissime. Altra cosa quella che io privilegio tra le possibili interpretazioni. Oggi in particolare convivono forme di filosofia che si presumono descrittive, scientifiche (cognitiviste, economicistiche); forme normative critiche o non; studi di tipo ermeneutico di quelli che sono riconosciuti come classici del pensiero politico. Per me la filosofia è problematizzazione.
Cerco di spiegarmi. La filosofia normativa negli anni ’70 con Rawls, in forme diverse e spesso critiche come nella versione oggi molto accreditata di Habermas – hanno costruito argomentazioni, prodotto giustificazioni, dato ‘ragioni’ e criteri di giudizio per valutare la realtà politica come giusta o ingiusta, fornendo le linee guida per riformarla in conseguenza del giudizio e per risolvere i problemi e i dilemmi della vita collettiva. Le argomentazioni e le giustificazioni razionali sono di grande importanza ma a mio avviso vanno riconosciuti in quelle argomentazioni vettori di potere più o meno forti e consistenti. La mia prospettiva è diversa. Ritengo, con Arendt, – e qui chiamo in causa il primo dei filosofi cui mi riferisco – che la filosofia che costruisce modelli razionali ha una pretesa di controllo sulla realtà plurale delle vite, sovrappone un logos alla loro imprevedibile capacità di agire e iscrive la politica nel progetto espressione di volontà di potenza, di fabbricazione dell’uomo che ha avuto nel secolo scorso esiti funesti e che all’inverso, se questo vi sembra troppo catastrofico, si condanna, oggi più che mai, alla irrilevanza, alla ininfluenza.
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