Dionisiaco e Alterità nelle «Leggi» di Platone. Ordine del corpo e automovimento dell’anima nella città-tragedia

Giovanni Panno (Vita e Pensiero, Milano, 2007)

La proposta legislativa delle Leggi platoniche è detta dai suoi protagonisti la “tragedia più bella”:  lungo la linea del tragico – nella funzione politica che esso ebbe per l’Atene classica, nelle sue crisi  storiche, e nelle sue problematiche specificamente platoniche – il libro di Giovanni Panno sceglie di  interpretare l’operazione politica e filosofica attuata da Platone nel suo ultimo testo scritto. Ne viene  un’opera mossa da una serie di dicotomie, calibrate sui testi platonici, ma giocate al di là degli  stessi, con sonorità accattivanti per il moderno lettore e filosofo politico: apollineo e dionisiaco;  progetto o rappresentazione politici e il politico; ordine e movimento; singolo e comunità; ragione e  passioni; unità e molteplicità; identità e alterità; la legge e le molte leggi; legge scritta e non scritta.  Ciò nell’ambito del tentativo generale, da parte di Platone, di pensare la città come realtà omogenea  e totalizzante che sia il soggetto del movimento della legge: un tutto e un movimento costruiti però  nell’assunzione ogni volta dell’opposta polarità, e quindi intorno a discrasie che fanno della città  “un organismo ritmicamente ordinato” (p. 9). In ciò si gioca la possibilità, per Panno, che il  meccanismo della dialettica identità-alterità del Sofista – presenza della filosofia nelle Leggi – trovi  traduzione politica proiettandosi sul nomos.  

Con l’analisi delle Baccanti euripidee (cap. I) – efficace illustrazione dello status quaestionis cui  Platone risponderebbe con le Leggi – il tema si dispiega in quanto capacità, da parte dell’ordine  politico e della legge, di confrontarsi con l’alterità e di farsene carico, non nascondendo al proprio  meccanismo identificativo il diverso che lo costituisce: confronto con l’alterità da un lato, e  dall’altro capacità di rinnovare il proprio ordine, pena la propria dissoluzione. Appunto tale esito  Platone cercherebbe di arginare, col disegno della colonia Magnesia, rielaborando e includendo nel  nomos i meccanismi di autorappresentazione e comunicazione del teatro ateniese. 

L’A. chiarisce come la legge assuma teoreticamente l’alterità e quindi descriva, limiti e connetta gli  elementi costitutivi della città: così quest’ultima costruisce il legame politico attraverso la propria  rappresentazione (p. 47). La legislazione è allora la tragedia più bella nel senso per cui “tragedia”  significa la rappresentazione rituale in cui la comunità si salva (ivi), e con tale percorso l’A. riesce a  far comprendere il nesso fra due tematiche difficili e politicamente decisive in Platone, mostrando  cioè come il tema della differenza risulti riconducibile “a un problema mimetico” (p. 188),  articolandosi i tipi dell’alterità secondo i tipi, buono e cattivo, dell’imitazione. 

La mimesi praticata al suo tempo minaccia fortemente, per Platone, di creare individui schizofrenici  tra ragione e passioni, disposti a vestire molte maschere, non funzionali al tutto della polis: ma  proprio l’uscita da sé caratteristica del meccanismo mimetico, della festa e dell’altra pratica  dionisiaca del vino, è altresì il percorso che consente di pervenire al vero dominio di sé. Ed è altresì  il percorso per cui lo sguardo dell’uomo, sfruttando il lato emotivo per guadagnare quello del logos,  può essere riconvertito allo stesso attraverso l’altro: tale capacità educativa e psicagogica della  tragedia in direzione comune e comunitaria, capacità di parlare alla comunità come ad un tutto e  non al piacere del singolo spettatore, è ciò che la tragedia aveva perso secolarizzandosi e che  Platone cercherebbe invece di riattivare, anche recuperando una tradizione mitica come nomos non  scritto della città e configurando quest’ultima come un grande mito. Orizzonte interpretativo che  consente all’A. di illuminare e collegare vari aspetti pratico-comunitari, istituzionali e rituali delle  Leggi, in quanto momenti di una catarsi tragica intesa come terapeutica omeopatica (pp. 107 ss.), e  di un complesso tentativo di armonizzazione di singolo e comunità in cui gioca un ruolo peculiare il  meccanismo della festa (capp. III-IV). 

Di più, la scelta di tale prospettiva ermeneutica sulle Leggi permette all’A. di dare ragione coerente  e persuasiva ai nessi e alle dinamiche cui Platone affida il ruolo di conferire efficacia al proprio  progetto filosofico-politico. La trama portante (cfr. pp. 155 ss.) è quella per cui la disposizione alla conoscenza di sé, che rende possibile la comunicazione politica, si consegue in ogni cittadino  esponendo la sua immagine di sé al pubblico e all’esterno (v. pratiche simposiali, importanza di  paura e vergogna etc.): la sua anima si fa malleabile e si eleva alla relazione con l’alterità, relazione  politica. In tal modo, egli è stimolato all’autoapprendimento, che è automovimento. Esperienza  dell’identitià che, nell’integrazione ordinata anche degli elementi di alterità fisica alla polis (schiavi,  donne, stranieri), è completa, perché non statica, e non fittizia, perché relata. 

D’altro canto, l’imitazione che si fa cifra della città intera e della vita di ogni cittadino è mimesi non  dell’alterità da cui liberarsi (forma demandata apotropaicamente agli stranieri, nella commedia), ma  del modello vero. Il cittadino dev’essere univoco, non “doppio” come l’attore o il sofista, ma  semplice e trasparente, sì da farsi inoltre specchio per l’altro della sua verità: non è a questo livello,  dunque, che si colloca il contatto col diverso. Semmai, è il processo di cambiamento di una legge  quello in cui la posizione del cittadino-spettatore si rende conscia di sé e, annullata così  l’immedesimazione in altro, diviene posizione di cittadino-attore che partecipa del tutto (pp. 171  ss.). Tema della variazione temporale della legge che apre anche lo spazio per cogliere quella  tensione fra tempo storico, tempo della realizzazione della città, tempo dialogico e tempo della  narrazione, che, facendo frizionare fecondamente il politico e l’estetico, rappresenta un ulteriore  interessante filone della riflessione dell’A.: tensione che si propone quale ragione filosofica per  l’incompiutezza dell’ultima opera platonica, e per incongruenze apparenti che in realtà  rimanderebbero ad un farsi della stessa legge che si fissa per iscritto e si comunica oralmente,  perché doppia tensione fra nous divino e storia. Sono, le Leggi, “una tragedia che difende un ordine  noetico instaurandone al contempo uno mitico” (p. 69), ad assumere in sé l’ulteriore discrasia fra  umano e divino, altro snodo tipico di poesia e tragedia. Sicché è ancora il tema del cambiamento  della legge nel tempo lo sfondo per cui l’A., nel VII capitolo, riesce a spiegare in modo originale e  utile, sia dal lato storiografico che filosofico, la questione della scrittura della legge, e la sua  articolazione con la dimensione dell’oralità (seppure in rapporto ad un’interpretazione forse troppo  enfatizzata della valenza di alcuni elementi costituzionali, e in particolare degli agrapha nomima di  793a-c: ma cfr. 788a-c). 

Sul fronte non più temporale, ma del confronto con l’alterità interna al politico, l’A. valorizza in  modo originale la quarta tipologia di straniero individuata nel XII libro, insieme ai cittadini che  visitano le altre città: confronto a livello legislativo, riservato a quanti hanno i mezzi dialettici per  sostenerlo, e maschera della filosofia platonica (pp. 206 ss.). Del resto, stranieri tra loro sono i tre  anziani protagonisti, e atopos è il contesto del dialogo, che non è un posto ma una via, un luogo in  fieri, legame fra l’umano e il divino. Ed è nell’eccentricità (non però separazione o estraneità) del  Consiglio Notturno che trova poi la sua massima precipitazione istituzionale e soprattutto iniziatica  l’elaborazione del diverso (cap. VI): il Consiglio partecipa alla genesi e al mutamento delle leggi,  conserva dentro l’ordine la kinesis che gli è propria, possiede quel grado di conoscenza superiore  che gli consente di riorganizzare le molte leggi mantenendo stabile il nomos che le unifica. Questi  pochi eletti possono così considerarsi proprio l’elemento di alterità per eccellenza integrato nel  progetto cittadino: la dialettica identico-diverso trova traduzione politica in un piano di polis “centrato sulla capacità dialettica di organizzare secondo diverse modalità e tempi il plesso uno molteplice nella struttura della città” (p. 237). 

Poiché però la struttura stessa della città è improntata iniziaticamente alla mediazione dialettica  uno-molti, la conoscenza filosofica non ha bisogno di farsi regina, né il Consiglio Notturno esercita  personalmente il potere: l’espressione dell’ordine noetico nella legge, così come il possesso  dell’autorità politica, sono desoggettivati e disseminati in vari procedimenti e istituzioni  reciprocamente dipendenti, come molteplici sono i legami che fanno coesa la costituzione. La  filosofia a Magnesia è sovrana – dice l’A. – al di là dell’elemento personalistico. D’altra parte, con  la mimesi e con la festa quali luoghi in cui la legge organizza a diversi livelli e sotto diversi aspetti  il rapporto di inclusione-esclusione, il sacro, da irruzione eccezionale del tempo extramondano e del  nucleo a-politico (perché eccedente ogni ordine) della polis, diventava perno della vita quotidiana  tutta, e il moto di conversione alla verità si disseminava in ogni componente della città, dalle 

istituzioni più alte al singolo cittadino (pp. 146-150). È dunque la città nel suo complesso il  soggetto del movimento. E certo apprezzabile nel volume di Panno è questa capacità di proporre, a  partire da una penetrazione puntuale delle dinamiche interne e strutturanti il testo, tesi di ampio  respiro, misurate anche nella loro capacità di interazione – non mera sovrapponibilità o  incongruenza, astratta anticipazione o negazione – con la riflessione e la vita dell’uomo d’oggi.  L’A. chiarisce così la sua prospettiva generale: nel quadro di un pensiero inteso come pratica, il  problema non è la realizzazione di una teoria politica, o la versione realistica di una città ideale; “si  tratta piuttosto di elevare i molti, grazie al movimento complessivo della città, al di là della loro  Allzumenschlichkeit” (p. 255). In tal senso sono centrali i temi della persuasione e  dell’incantamento, che consentono alla legge di allocare il proprio potere nell’anima dei cittadini, e  di farsi automovimento, quale prodotto di quel primo per natura che è l’anima.  

Si considera dunque fondante la riflessione sul moto di anima e nous del libro X, non tanto nel  senso di una legge naturale divina a fondamento di quella scritta, quanto nella direzione di una città  assunta, nel complesso delle mediazioni che consente, quale luogo dell’assimilazione a dio:  Magnesia come magnetica forza di attrazione, per ogni cittadino, da parte del centro politico religioso e del plesso nomos-nous (p. 95). Processo politico, perché intrinsecamente costituito nella  relazione con l’altro, che per l’A. si compie nel superamento del politico stesso, in quello sguardo  negli occhi di un altro simile (sul modello di Alc. Ma.) possibile fra cittadini dal volto semplice e  vero: relazione che non richiederebbe più mediazione, e nella quale pertanto la politica e la città  cesserebbero di essere necessarie. Affiora, nelle parole dell’A., la tensione classica per il platonismo  fra una politicità costitutiva dell’uomo e del pensiero, quasi sovrapponibile alla nozione stessa di  relazione identità-alterità, ed una politica dalla valenza solo parziale e transitoria rispetto a  quest’ultima: il percorso adottato dall’A. consente di pervenire tuttavia a tale tensione in termini  originali, che costringono fruttuosamente la ricerca ad una sua reimpostazione alla luce dei nessi e  delle dinamiche illuminate dal suo studio. Per proseguire su questa linea sarebbe forse necessario, al  fine di evitare schematismi o ambiguità nella direzione complessiva del ragionamento, uno  specifico approfondimento testuale e teorico su lessico e categorie afferenti il politikòn

10/09/2010
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