Di una patria e del mondo. L’idea cosmopolitica fra utopia e realtà
Laura Tundo Ferente (Morlacchi Editore, Perugia, 2011)
Questioni di grande attualità in questo inizio di millennio travagliato da crisi economiche, nuovi conflitti armati e primavere democratiche dall’esito incerto, sono al centro di questo lavoro di ricerca che offre analisi etico-filosofiche illuminanti sull’origine, sulla stratificazioni di significati e sull’evoluzione dei concetti che concorrono a formare una tradizione di pensiero un ideale utopico. Laura Tundo Ferente, in Di una patria e del mondo. L’idea cosmopolitica fra utopia e realtà, lancia uno sguardo largo e profondo su problemi che investono il rapporto tra democrazia diritti umani e sviluppo, l’incontro/scontro tra culture, il ruolo della nazione e dello stato nazionale, la governance internazionale dell’economia. In un quadro concettuale estremamente ampio, che muove dalle intuizioni principiali dell’idea cosmopolitica colte nelle Scritture vetero testamentarie e nelle riflessioni del pensiero classico greco, che avanza fra molte commistioni e ambiguità, fra visioni ideali e prassi antinomiche, l’autrice fa emergere gli elementi teorici e quelli di fatto indispensabili per comprendere il perimetro entro cui è maturata la sfida cosmopolitica contemporanea.
Con il termine cosmopolitismo l’autrice si riferisce all’idea secondo cui gli uomini, gli abitanti della Terra, pur nelle loro divisioni e differenze, riflettono sul sentirsi appartenenti alla grande famiglia umana; cittadini di una singola patria ma anche del mondo, costituendo relazioni politiche stabili e lavorando a garantire una volta per tutte ai singoli esseri umani una base certa di diritti universalmente riconosciuti e protetti. Si riferisce, quindi, a una grandiosa visione che ha tutti i tratti di una utopia, nell’accezione resaci familiare da Kant, ovvero di un orizzonte regolativo di giustizia, eguaglianza, dignità per tutto il genere umano, che è anche un compito, un fine cui tendere, da realizzare per gradi sebbene sorpassi le possibilità dell’esperienza di realizzarlo pienamente.
L’autrice, che ha già offerto interessanti contributi sul tema e ha curato un testo collettivo sul Cosmopolitismo contemporaneo (Morlacchi, Perugia 2009), ritorna dunque sulla questione presentandoci, in una prospettiva più articolata, le questioni e i fattori che nel processo storico e nell’evoluzione politico-morale occidentale hanno posto le basi e tessuto nel tempo i filamenti della tela cosmopolitica. Il cosmopolitismo, infatti, se escludiamo l’avanzatissima posizione kantiana, raramente prima dei nostri giorni è stato trattato in modo esplicito; esso si presenta, tuttavia, come un ideale che è attivo e vive all’interno di proposte teoriche e di pratiche, che questa ricerca si incarica di rintracciare e far emergere attraverso un lavoro di scavo e un’attenta rilettura dei fenomeni storici, dei testi filosofici, delle azioni politiche. La difficoltà più frequente che tale scavo si trova a dover superare è l’intreccio ambivalente, ambiguo, contraddittorio, di fattori nei quali l’idea cosmopolitica si trova immersa, anzitutto nelle fasi storiche dominate dall’imperialismo, da quello romano fino agli imperialismi del XX secolo; la necessità di distinguere i suoi contenuti dalle numerose elaborazioni ideologiche con le quali l’imperialismo ha coperto le pratiche di potere.
Il concetto di cosmopolitismo rinvia dunque all’idea che l’uomo faccia parte della stessa, unica, famiglia umana e che la giustizia sia la sua primaria aspirazione, un’idea che l’antichità classica e il medioevo assorbono dalla sapienza biblico profetica, dalla visione stoica e dall’universalismo del messaggio di salvezza proclamato dal cristianesimo. Un’idea che, declinata sul piano politico, animerà e giustificherà il senso problematico dell’impero universale prima e della res publica christiana poi, e che continuerà a vivere, in maniera, ambivalente e contraddittoria, nella profonda revisione richiesta dalla frammentazione politica e religiosa dell’Europa moderna, nell’avventura delle scoperte geografiche e nell’incontro con nuove culture, ancora nel segno dell’ambiguità; l’apertura all’altro è infatti drammaticamente connotata dalla conquista, anche in nome della religione, dall’espropriazione e dalla schiavitù dei nativi e da una colonizzazione violenta. Questo tema è sviluppato attraverso una fine ricostruzione del dibattito filosofico-giuridico e religioso che coinvolse lungo il ‘500 i teorici della Scuola di Salamanca e lo stesso papato.
Ma l’ideale cosmopolitico è all’opera anche nei mille rivoli delle attività intellettuali dell’età moderna, nella nascita della scienza, nella costruzione di un circuito di comunicazione fra gli scienziati, e in particolare nel progetto di una lingua universale (in quanto tale perfetta) che ha visto impegnati, per secoli, intellettuali di diversa matrice, da Lullo a Leibniz, e che troverà un’applicazione geniale durante l’Ottocento, con la creazione da parte di Zamenhof, di un medium linguistico internazionale, nella convinzione che una delle più importanti garanzie per la pace fosse il superamento delle incomprensioni derivanti dalla barriera linguistica
Di notevole rilievo è poi la discussione diacronica dei temi della pace e della guerra che dalle prime critiche rivolte all’idea di guerra giusta nella scuola neo-scolastica, si estende per tutti i secoli successivi e produce una tradizione di pensiero, trovando il suo apice nel progetto kantiano Per la pace perpetua. Ad esso l’autrice, studiosa di Kant e curatrice di questo testo (Bur, Milano 2003, 2 ed.), dedica un intero capitolo. In questa sede il progetto del filosofo di Königsberg viene sviscerato nella sua straordinaria portata e attualità e in tutti i suoi aspetti; viene discussa, sulla base delle interpretazioni più recenti, sia l’oscillazione tra la proposta di una federazione di stati e la costituzione di un vero e proprio stato cosmopolitico che abbracci l’intero pianeta, sia il profondo significato dell’ospitalità universale anche in rapporto al fenomeno migratorio contemporaneo e al diritto di asilo.
Così il senso del cosmopolitismo moderno si va elaborando attraverso l’intreccio di molti fili e la convergenza di percorsi diversi intorno alla visione dell’universalismo (p.57): l’idea dell’essere umano portatore di una ragione universale e capace di linguaggio, la legge di natura e l’idea di un’unica famiglia umana, la dignità di tutti gli uomini che ispira logiche di tolleranza e di pace. Queste riflessioni, lungamente elitarie, non rispecchiano però l’agire dominante, anzi, come ci avverte l’autrice «lo scenario politico-economico di tutta la modernità conferma una prassi, per alcuni versi convergente e per altri notevolmente in contrasto rispetto all’evoluzione teorica» (p.60). Come testimonia il riemergere dell’imperialismo in forme sempre nuove e il protrarsi fino agli anni ’60 del secolo scorso dell’esperienza coloniale. È sviluppata poi in due ricchissimi capitoli l’analisi critica della visione universalista, l’evidenza dei suoi limiti sul terreno giuridico, su quello di genere nonché sul terreno culturale.
È comunque indubbio che il discorso sulla pace, e con esso la questione del cosmopolitismo, da temi squisitamente filosofici, siano divenuti questioni all’ordine del giorno nelle agende politiche a partire dai due tragici conflitti che hanno marcato la prima metà del XX secolo. Ed è proprio attraverso l’esplorazione dei progetti di associazioni internazionali successivi alle due guerre mondiali (la Società delle nazioni e l’Organizzazione delle Nazioni Unite) che il testo entra nel vivo del dibattito contemporaneo sul cosmopolitismo; un dibattito complesso da cui non scompaiono le ambiguità, dove anzi, insieme alle condizioni che ne costituiscono prerequisiti vincolanti, riemergono forti dubbi riguardanti non solo la possibilità, ma persino l’auspicabilità di alcuni esiti connessi con la costruzione della cosmopoli.
Descrivendo con scrupolo le varie posizioni in campo, senza parzialità ma pure esprimendo con chiarezza il proprio punto di vista, l’autrice analizza il percorso tracciato dall’universalismo giuridico e le sfide aperte intorno alla effettività dei diritti umani e alla loro capacità di tener conto sia delle differenze di genere e dei diversi gruppi umani, sia delle differenze fra le culture. Tra multiculturalismo e riconoscimento, con i connessi problemi di identità, assimilazione, inclusione e gestione della differenza, il testo si pone anche la domanda su quanto in là possa essere spinta la domestic analogy nel proporre per le istituzioni internazionali e per tutti i singoli Paesi l’idea di democrazia e stato liberal-democratico. Pur evidenziando gli importanti benefici sul piano dello sviluppo e della sicurezza che lo stato democratico ha reso possibili, laddove sia riuscito ad attecchire e stabilizzarsi, l’autrice spiega con efficacia l’impossibilità di esportare la democrazia, così come il deficit di rappresentanza che caratterizza le istituzioni trans e super nazionali. Pagine interessanti sono a questo punto dedicate all’Unione Europea, vista da un lato nel realistico ruolo avuto nel perseguimento degli interessi degli stati membri (come nella stabilizzazione del contesto economico e politico internazionale), dall’altro vista anche nel suo rappresentare il primo tentativo di unione politica tra stati nazionali, un’istituzione a metà strada tra ente intergovernativo e vera espressione di un popolo europeo che con fatica cerca di superare il suo passato di inimicizie nazionalistiche per guardare unito ad un futuro post-nazionale.
Al di là dei discorsi teorici resta il tumultuoso procedere della storia che nel fenomeno della globalizzazione e nelle nuove tecnologie, prima tra tutte internet, ha già creato un cosmopolitismo di fatto nei comportamenti umani -che alcuni rubricano sotto il segno del “rischio”-, ha avviato processi di forte integrazione, una rete di interdipendenze da cui nessuna proposta teorica può prescindere. Si tratta di processi bisognosi di letture, per essere compresi e almeno in parte guidati, così da non correre il rischio di restarne irrimediabilmente travolti.
Uno dei contributi più originali offerto in queste pagine da Laura Tundo Ferente è quello di rendere il lettore consapevole di come il cosmopolitismo sia più di un progetto politico: esso rappresenta una vera e propria istanza etica che dà senso allo sviluppo ed evoluzione delle pratiche morali e traccia un cammino in direzione di un futuro possibile. Dal momento in cui valori come quelli di eguaglianza e dignità sono penetrati nella coscienza morale, il percorso volto a riconoscerli a individui e a gruppi umani, scuote con forza sempre maggiore il velo di irrilevanza del mancato riconoscimento che aveva avvolto le differenze di razza, cultura, diversità sessuali, e che aveva permesso pratiche in profonda contraddizione con l’idea dell’eguale dignità e diritto di ogni essere umano.
È proprio per questo che, indipendentemente dall’avanzamento delle istituzioni politiche verso una maggiore integrazione, lo sguardo morale non può prescindere da un orizzonte che abbracci il mondo e tutto il genere umano come partecipe della medesima dignitas e: «se non abbiamo la pretesa all’integralità della verità, pure parti di essa, cioè convincimenti veri che orientano il nostro agire, li abbiamo via via riconosciuti, acquisiti, introdotti nelle regole basilari della convivenza; primo fra tutti che ogni persona è fonte di dignità cui è dovuto rispetto, che ogni libertà personale deve confrontarsi con quella altrui, che ogni essere umano ha, in quanto tale, obblighi verso tutti gli altri esseri umani» (p.345). Lo sviluppo dei legami empatici evidenziato da Rifkin conferma, infine, questa lettura, e ci porta a credere che in quanto essere sociale, l’uomo sia anche un essere cosmopolitico. La visione cosmopolitica non rappresenta un destino di ineluttabile eliminazione delle differenze culturali; si può dire anzi che seppure in un cammino tortuoso, non privo di contraddizioni, di arretramenti e stalli, e anche attraverso improvvise ed inaspettate accelerazioni, l’umanità va riconoscendosi uguale nelle stesse aspirazioni al diritto, alla dignità, al benessere. È allora proprio per questo che, nonostante resistenze e segnali in controtendenza, è possibile sottoscrivere la fiduciosa affermazione dell’autrice che «la capacità di pensiero autonomo, l’attitudine a coltivare rapporti umani reciprocamente soddisfacenti, ad attivare scambi che si sporgano oltre lo scambio mercantile, a dilatare il circuito della solidarietà, a sviluppare empatia e accoglienza, a immaginare risposte sempre nuove ai problemi, si confermano le premesse su cui può fare affidamento una democrazia per crescere e per aprirsi agli altri, al mondo» (p.334).