Democrazia e mutamento. La via spinoziana al contrattualismo
G. Lamonica (Aracne, Roma, 2009)
Il volume tratta del pensiero politico di Spinoza in poche ma intense pagine, prendendo in esame, in particolare, il Trattato teologico politico e il Trattato politico (opera di cui la stessa Lamonica ci ha dato una bella edizione, con una postfazione di A. Loche giusto dieci anni fa). È opportuno segnalare che l’A affronta i complessi temi contenuti in queste opere con uno stile chiaro, privo di abbellimenti inutili che “va dritto al punto”. Quasi seguendo il perentorio giudizio di Orwell secondo cui “è disonesto dire con cento parole quello che può essere detto con dieci”.
Negli ultimi anni il pensiero di Spinoza è stato fatto oggetto di numerosi studi. Per citare soltanto alcuni lavori in italiano, si possono ricordare i lavori di Stefano Visentin (La libertà necessaria 2001, e la cura con Morfino e Caporali di un volume di eccezionale ricchezza come Spinoza: individuo e moltitudine) e quelli di Filippo Mignini (Introduzione a Spinoza) a cui si deve tra l’altro la pubblicazione di una recente edizione delle opere dell’autore. Il lavoro di Lamonica si situa pienamente in questo sempre rinnovato interesse per Spinoza. Ma vi si situa in modo peculiare: da un lato – a differenza di alcuni lavori di Mignini, per esempio – non procede didatticamente per opere (analizzando un’opera dopo l’altra); dall’altro, non dedica spazio al contesto politico e culturale, alla tradizione, alle fonti di Spinoza (come fanno gli storici delle idee). Si concentra invece sui temi e propone un’analisi quasi morfologica delle opere di Spinoza, con l’intento di chiarire i concetti e i rapporti tra i concetti all’interno del corpus spinoziano piuttosto che in relazione con l’esterno (la storia, la politica la cultura). Anche se vi sono numerosi riferimenti all’opera di Hobbes che permettono di cogliere meglio la peculiarità delle idee spinoziane. Una scelta metodologica, questa, che rende il volume forse non adatto a chi si accosta per la prima volta a Spinoza, ma che fornisce al lettore già un po’ esperto, un utile strumento critico.
Nella storia delle idee politiche la parola democrazia ha nella maggior parte dei casi un significato negativo (da Platone a Robespierre escluso). Spinoza è un’eccezione, un’isola di apprezzamento per la democrazia in un mare di critiche feroci. Perché? E come? Mi pare che queste siano le domande fondamentali a cui vuole dare risposta Lamonica in questo libro. Non solo però perché – come accennavo – il libro non si limita a rendere conto delle riflessioni di Spinoza sulla democrazia, ma è anche – e soprattutto – un studio sui concetti fondamentali (tipicamente secenteschi) che danno forma al pensiero politico di Spinoza. Idee come contrattualismo, repubblicanesimo, monarchia, stato civile/naturale, libertà, non sono solo chiarite, ma vengono altresì analizzate le complesse relazioni che intrattengono tra loro nei testi di Spinoza. Per fare solo pochi esempi: qual è il rapporto tra contratto e democrazia? È insuperabile in Spinoza il “dissidio” tra repubblicanesimo e contrattualismo come lo è in Hobbes? Sono compatibili monarchia e libertà? Come si deve interpretare lo stato pre-politico (stato di natura) in relazione allo stato civile, e in cosa si differenziano tra loro? Quando un soggetto politico si configura come “stato civile”? A questo genere di domande tenta, con buon successo, di rispondere Lamonica.
Non mi voglio soffermare diffusamente su queste domande, sarebbe presuntuoso da parte mia pretendere di farlo in poche righe. Voglio invece menzionare tre capisaldi del pensiero di Spinoza che mi paiono particolarmente interessanti. La definizione di stato civile, le ragioni della scelta democratica, il rapporto tra stabilità e democrazia.
Per quanto riguarda il primo caposaldo, è interessante sottolineare come la risposta spinoziana si differenzi da quella di Hobbes. Per il filosofo inglese il contratto è la fonte dello stato civile. Non importa cosa “contenga” il contratto: è stato civile ciò che nasce dal contratto. Per Spinoza non basta il contratto per dare vita a uno stato civile. È necessario che lo stato che nasce dal contratto abbia determinate caratteristiche: deve garantire la pace, possedere caratteristiche che lo rendono stabile, ma soprattutto ha l’obbligo di “mantenere la promessa dell’indipendenza individuale” (p. 62). Uno stato civile, cioè, è uno stato in cui la violenza, l’oppressione, l’ingiustizia non impediscono agli individui di poter scegliere la propria idea di bene. Uno stato, insomma, è civile soltanto se è composto da individui liberi e indipendenti.
Il secondo caposaldo menzionato riguarda le ragioni della scelta democratica. Di nuovo è illuminante il confronto con Hobbes: per quest’ultimo, l’orrore di vivere nello stato di natura giustifica qualunque negazione dello stato di natura stesso. Cioè: pur di uscire dallo stato di natura si possono accettare tutte le forme di stato civile, compresa la più dispotica. Spinoza, al contrario, sostiene che persone libere e uguali tra loro non sceglierebbero mai di trasferire il proprio potere e il proprio diritto ad altri, cosa che avviene nella monarchia. Sceglierebbero invece la democrazia, che permette loro di mantenere il proprio potere e il proprio diritto.
Infine, il rapporto tra democrazia e stabilità. Oltre al motivo menzionato sopra, Spinoza adduce tra le ragioni per scegliere la democrazia il fatto che si tratta di una forma di governo stabile. In estrema sintesi il ragionamento spinoziano è questo: godendo del sostegno di tutti la forma di governo democratica risulta essere stabile; la monarchia, al contrario, per la ragione opposta, è debole e instabile. Questa affermazione, in apparenza innocua e quasi ovvia, nasconde forse una questione interessante. Per gran parte della tradizione occidentale, infatti, la democrazia viene considerata una forma di governo molto instabile perché consente ai “peggiori” di tenere il comando della nave (si ricordino le parole di Platone in proposito). Essa degenera in anarchia che, a sua volta, è l’anticamera del dispotismo. L’argomento della stabilità è invece spesso utilizzato per giustificare il governo misto. È il governo misto (che contempera virtuosamente i vari interessi presenti nella società) a essere considerato la forma maggiormente stabile, non la democrazia.
Può dunque essere lecita la domanda su quale significato abbia l’attribuzione della stabilità alla democrazia per Spinoza. Certamente – si parla di un autore del Seicento – un’affermazione del genere è frutto di una prospettiva fortemente razionalista che riflette sulla politica poggiandosi più su inferenze logiche, che su osservazioni empiriche della realtà. Forse, è anche frutto di un punto di vista più etico che politico. In questo senso, le considerazioni di Spinoza sulla stabilità della democrazia sarebbero una specie di “paravento” di sapore pragmatico per giustificare una scelta che in realtà ha ragioni etiche: la volontà di affermare che ognuno ha gli stessi diritti naturali. La volontà di affermare che nessun uomo (o gruppo di uomini) ha diritto di governare sugli altri in virtù della propria nascita. Di affermare, insomma, che nessun uomo nasce con la sella sulla schiena e nessun uomo con stivale e speroni per cavalcarli.