Quaderni di teoria sociale. Estratti
Sono ormai diversi anni che il tema del riconoscimento è venuto imponendosi anche nelle scienze sociali. Nella grande varietà di elementi che tale tema comporta, esso appare suscettibile di ulteriori e più articolati sviluppi teorici al fine di potersi costituire come un paradigma forte per l’analisi dell’agire sociale e per le sue applicazioni pratiche, nonché quale fondamento dell’attuale riflessione politica, in particolare per quanto si riferisce ai rapporti interculturali e alla solidarietà sociale.
Il discorso sul riconoscimento, che com’è noto è stato soprattutto portato avanti in questi anni da Charles Taylor e da Axel Honneth, ha ovviamente in Hegel il suo primo riferimento. Infatti è soprattutto a Hegel che va attribuito il merito di aver mostrato con grande chiarezza la funzione costitutiva della relazione di riconoscimento reciproco nella formazione dei soggetti. A partire da tale risultato, la richiesta di riconoscimento e il bisogno di consolidare la stima di sé possono essere considerati quali moventi fondamentali dell’agire umano e quindi quali categorie interpretative assai più ampie e significative che non quella di interesse che aveva dominato per molto tempo sia nelle teorie economiche sia in numerose teorie sociologiche.
Come ha osservato Aldo Masullo, assume in proposito particolare rilevanza l’analisi condotta nella Fenomenologia dello spirito circa la costituzione dell’og gettività come reciproco inganno che dissimula la funzione fondatrice dell’in tersoggettività. In base a tale analisi, si pone infatti in evidenza che quando l’individuo, realizzandosi nella sua azione, attribuisce a qualcosa un valore og gettivo, egli è in realtà principalmente interessato a ciò che, tramite l’azione stessa, egli diviene per gli altri: “Ogni individuo nel suo agire appare interessato alla cosa, ma in fondo non vuole che realizzare sé per gli altri, i quali a loro volta, se sono ingannati dal suo apparente interesse per la cosa e s’impegnano perciò a cooperare con lui, anch’essi non collaborano veramente in vista della cosa, ma ‘per vedere e mostrare l’opera loro’” [Masullo 1996, 196]. Ci piace qui anche ricordare, tra gli altri, l’importante contributo che a questo proposito, già nel 1988, ha dato Alessandro Pizzorno il quale, nella sua critica delle teorie del rational choice e a partire dal problema del free rider, aveva mostrato che l’individuo trae dalla sua partecipazione all’azione collettiva non solo benefici tratti dal conseguimento del bene concreto cui l’azione è indirizzata, ma soprattutto la possibilità di ottenere riconoscimento e di consolidare la propria auto-stima, rafforzando così la propria identità [cfr. Pizzorno 1988; 2007].
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