In memoria di Veca
Oggi la notizia della scomparsa di Salvatore Veca è caduta come un fulmine sulle tante persone che negli anni avevano lavorato, dialogato e condiviso con lui la curiosità per le questioni di giustizia, rispetto, libertà ed eguaglianza. Per chi, come noi, è cresciuto con le sue lezioni, osservazioni, critiche e incessante dialogo filosofico, è difficile pensare che la sua passione e la sua ironia non potranno più sorprenderci accompagnati dal suo sguardo arguto.
Salvatore Veca era nato a Roma il 31 ottobre del 1943, ma era cresciuto e aveva studiato a Milano. Si laureò in Filosofia alla Statale con una tesi su Kant sotto la supervisione di Enzo Paci. Dopo la laurea e fino al 1973 collaborò con la cattedra di filosofia teoretica e col professor Paci, come assistente volontario prima e borsista CNR poi. Nel corso della collaborazione con Paci, Veca diventò condirettore di Aut-Aut dal 1971 al 1973, iniziando così l’esperienza editoriale che lo avrebbe accompagnato per il resto della sua carriera. Nel 1974 ottenne l’incarico di ricercatore in Filosofia Politica all’Università di Arcavacata in Calabria, passando poi a insegnare a Bologna e, dal 1978, a Scienze politiche all’Università Statale di Milano. Dopo avere ottenuto la cattedra di Filosofia politica all’Università di Firenze nel 1986, si trasferì nel 1990 all’Università di Pavia come professore ordinario di Filosofia Politica presso la Facoltà di Scienze politiche, di cui più tardi diventò preside. Si spostò poi all’Istituto Universitario di Studi Superiori (IUSS) di Pavia, di cui faceva già parte del consiglio direttivo, e ne divenne pro-rettore.
Negli anni ‘70, e più precisamente nel 1974, venne chiamato da Sergio Del Bo ad assumere la direzione scientifica della Fondazione Feltrinelli. Fu proprio dalla Fondazione Feltrinelli che Veca lanciò un progetto di rinnovamento culturale nel campo della filosofia e delle scienze sociali e della politica, che ha poi avuto un impatto decisivo sul cambiamento degli studi, e degli stili di ricerca nell’ambito delle scienze filosofiche, politiche e sociali, oltre che nella discussione politica. Fino agli anni ’80, Veca organizzò e diresse un ampio spettro di seminari, dall’antropologia alla metodologia economica, dalla filosofia della scienza alla filosofia politica, dagli studi sul movimento operaio e sindacale alle questioni del welfare state, raggruppando intorno alla Fondazione le menti più brillanti e innovative del panorama italiano, e dando il via a un’opera di rinnovamento delle cultura accademica e politica italiana. L’intento di questo lavoro era duplice: innanzitutto affrontare in modo diverso e fuori dai riti e dalle gerarchie accademiche questioni e metodi di frontiera e, dall’altra, aprire un laboratorio politico, come in effetti era chiamato, della sinistra nel difficile momento del terrorismo e della crisi del marxismo. Veca, infatti, fu mirabilmente capace di unire a una sincera passione per la filosofia e il pensiero, un altrettanto intenso impegno politico e civile, di cui tanti suoi scritti sono testimonianza. Ci piace ricordare in proposito, a titolo esemplificativo, il saggio “Libertà e eguaglianza” in Progetto Ottantanove, scritto a ridosso della caduta del Muro con Salvati e Martinelli, e Cittadinanza. Riflessioni filosofiche sull’idea di emancipazione (1990). Del grande lavoro svolto nel laboratorio della Fondazione rimane traccia nei Quaderni della Fondazione Feltrinelli che, tra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli anni ‘80, raccoglievano gli interventi dei seminari rivisti dopo la discussione collettiva.
Veca fu anche attivo sul fronte editoriale in Feltrinelli e nel Saggiatore, dove, insieme a Marco Mondadori, diresse la collana di testi filosofici Theoria. Grazie a questo impegno fondamentali testi di filosofia e filosofia politica di tradizione angloamericana vennero introdotti alla discussione italiana, allora assai meno internazionalizzata. Ed è stato proprio grazie a questa sua attività e impegno che nel 1979 Veca si imbatté nel testo di Rawls, Una teoria della giustizia, in lettura presso la casa editrice Feltrinelli; ne rimase affascinato e ne consigliò la traduzione, segnando così una svolta nei suoi studi e in quella della discussione di generazioni di filosofe e filosofi della politica in Italia.
Sul fronte degli studi, Veca, a partire dal suo primo volume su Fondazione e Modalità in Kant (1969) e il secondo Saggio sul programma scientifico di Marx (1977), propose una lettura del tutto eterodossa dell’opera marxiana, grazie all’innesto con la filosofia della scienza. A questo punto avviene l’incontro con la filosofia politica normativa, che portò Veca alla discussione e a una sua rivisitazione della teoria della giustizia di Rawls, in tensione con le teorie alternative come l’utilitarismo e con la tradizione italiana fortemente imbevuta di marxismo storicistico. Da lì nacquero La società giusta (1982), Questioni di giustizia (1985 poi 1991), Una Filosofia pubblica (1986), Etica e politica (1989)e molti altri saggi e interventi che hanno definito un nuovo modo e uno stile originale di fare filosofia politica nel nostro paese. Si tratta di un modo e di uno stile che, seppure ancora in crescita, ha messo salde radici in certe aree del paese, godendo di buona reputazione internazionale, in Europa e oltre. Sarebbe una storia a sé ricostruire le vicende del gruppo delle allieve e degli allievi di Veca e delle loro progenie, orami sparso in tutta Europa e non solo.
Nel 1997, uscì Dell’incertezza, un poderoso volume, che rappresenta un cambio di indirizzo della ricerca di Veca. In questo volume, Veca unì le riflessioni svolte dall’inizio della sua carriera, riflessioni che hanno coinvolto ed esteso questioni fondamentai di filosofia politica, legate alla giustizia, all’etica pubblica e alle questioni di convivenza civile e rispettosa. Come abbiamo visto i suoi studi sono partiti da Kant e da un forte interesse per le questioni della filosofia della scienza e del linguaggio. Wittgenstein, letto insieme a Musil, uno dei suoi eroi. Il titolo in effetti riprende capovolgendolo il titolo del breve scritto di Wittgenstein On Certainty. Questo volume rappresenta, quindi, una visione complessiva e comprensiva del pensiero di Veca non solo sulle questioni normative (“Ciò che vale”) oggetto della “seconda meditazione”, ma anche su “Ciò che c’è” e infine su “Chi noi siamo”. I numerosi libri che Veca ha pubblicato dal 2000 in avanti in parte riprendono, ampliano, approfondiscono e divulgano le idee presentate qui. L’incompletezza (L’idea di incompletezza, 2011) oltre l’incertezza diventano parole chiave, ma a esse va aggiunto Il senso della possibilità (2018).
Va detto, a conclusione di questo doloroso ma orgoglioso ricordo, che l’interesse politico e civile di Veca non si è mai spento sino alla fine; è stato presente in tanti suoi saggi e tante sue lezioni e seminari scientifici e di divulgazione. Tuttavia questa apertura alla comunicazione non ha mai tradito la vocazione originaria di Veca, la cui carriera di professore non ha mai davvero ceduto il passo alla politica o alla chiacchera da talk show. Seppure presente nelle vicende politiche e pubbliche, Veca fu sempre in grado di difendere e rivendicare la specificità della sua professione di filosofo, mantenendo autonomia e distanza dal gioco quotidiano fra i partiti e la chiacchera pubblica. Questa straordinaria capacità ci piace onorare oggi, guardando indietro alla sua carriera ispirata alla lezione weberiana di Wissenschaft als Beruf, con reciproco vantaggio della scienza e della politica.
Salvatore Veca ci lascia oggi, 7 ottobre 2021, sta a noi adesso portare avanti questa lezione, appoggiandoci, ora e sempre, sulle sue spalle da gigante.
Data
Antonella Besussi
Ian Carter
Emanuela Ceva
Anna Elisabetta Galeotti