Il quarto shock

Nel mese di dicembre del 2019, una malattia respiratoria di origine sconosciuta fece la sua apparizione nella città di Wuhan (circa 11 milioni di abitanti), nella provincia di Hubei in Cina. Si venne a sapere dopo che alcuni tra i primi ammalati, che mostravano sintomi simili a quelli di una polmonite, erano stati in un mercato di pesce in cui si vendevano anche pollifagiani pipistrelli, roditori, pangolini, serpenticervi, conigli oltre ad altri animali selvatici. Le analisi molecolari mostrarono che il patogeno in questione era un covid-19 proveniente da fonte animale (zoonosi), che una volta isolato fu battezzato 2019-nCoV, per poi essere chiamato dal WHO ufficialmente (11 febbraio 2020) e classificato dallo International Committee On Taxonomy of Viruses come SARS-CoV-2 (SARS-CoV-2 è il nome ufficiale del virus, mentre COVID-19 è la patologia da Corona Virus Disease 19). Si tratta del settimo membro del gruppo covid-19 a infettare gli umani. E, vista la progressione impressionante del contagio, lo stesso WHO proclamò – il 20 gennaio 2020- lo stato di “public health emergency international concern” (PHEIC). Dopo diversi mesi, il tasso di mortalità e di morbilità dovuti alla malattia non sono ancora ben definiti. Il giorno in cui il libro è dato alle stampe comunque i decessi accertati superano i 200.000. Significativi livelli di  infezione sono state segnalati, oltre che in Cina, in GermaniaFranciaItaliaHong KongVietnamThailandiaSingaporeGiapponeCorea del SudAustralia.

Già pochi giorni dalla scoperta del virus, le analisi epidemiologiche mostrarono che il contagio dipende dal contatto a breve distanza. Cosa che ha facilitato la diffusione nel morbo negli ospedali, nelle residenze per anziani e nei gruppi famigliari. Questo fatto spiega le politiche di lockdown, che in Cina culminarono con l’intera regione dello Hubei (60 milioni di persone). In effetti, la chiusura in casa e l’isolamento delle persone nonché la sorveglianza elettronica (dove applicata) sembrano state efficaci, riuscendo a mettere il contagio sotto parziale controllo. Fin quando non ci sarà un vaccino sicuro ed efficiente a disposizione non ci si potrà fare molto altro che tenere in questo modo a bada il cosiddetto “R con zero ((RO)”. RO rappresenta il “numero di riproduzione di base”, cioè il numero medio di infezioni secondarie prodotte da ciascun individuo infetto in una popolazione completamente suscettibile cioè mai venuta a contatto con il nuovo patogeno emergente. In altre parole, questo parametro misura la potenziale trasmissibilità della malattia infettiva. Così, se una persona infetta ne infetta altre 2, RO è 2. Se RO è maggiore di 1 il contagio si espande in maniera esponenziale. Se RO è meno di 1, procede lentamente e alla fine può spegnersi. E’ anche chiaro che la misura di RO va presa con cautela perché dipende da numerosi fattori biologici, sociali e ambientali e può variare al mutare di questi fattori.

Purtroppo, con il passare del tempo il contagio si è diffuso nell’intero mondo, originando quella che si chiama una “pandemia”. Qui sotto potete vedere il numero dei casi registrati dal WHO su scala planetaria (al giorno 4 aprile 2020). Sembra che solo in Cina, perlomeno finora, si sia riusciti a tenere R con 0 sotto 1 e ad addomesticare il COVID-19. Non ci sono però garanzie che questo risultato sia permanente e, anche se in diversi paesi come in Italia il picco della epidemia sembra superato, non si sa quando la pandemia finirà. A dire di molti esperti dovremo piuttosto abituarci a convivere con il virus di COVID-19 e a pensare a una ripresa graduale delle attività in cui i contatti personali e le attività abituali cambino per tenere conto del contagio.

      In poche settimane un virus di meno di un millesimo di millimetro (1-1,5 x 10-4 mm) ha così cambiato la faccia del mondo. Passiamo questi giorni circondati dal lutto in un’atmosfera di tristezza greve e di dolore per i morti. Nessuno di noi vive come prima, condannati come siamo a un isolamento forzato e innaturale. Al timore della pandemia si aggiunge il drastico mutamento di abitudini in grado di turbare profondamente gli equilibri piscologici e sociali di tutti. Ma, ovviamente, uno tsunami di questa fatta non cambia solo gli atteggiamenti privati. Ha invece ricadute consistenti sulle politiche pubbliche. E non potrebbe non averne. Un male così radicale può mettere in crisi l’economia, trasformare la democrazia, mutare l’essenza della globalizzazione. In gran parte del mondo, finora i governi hanno reagito alla pandemia con un misto di coercizione e sostegno economico. Da un lato, l’obbligo di restare a casa, dall’altra miliardi nel sistema economico per ridurre le conseguenze negative della crisi. In questo modo, la pandemia ha infranto vecchie abitudini e aumentato il potere dello stato sia nei confronti dei cittadini sia per quanto riguarda il suo peso nell’economia. Tutto ciò non può non avere a che fare con l’etica pubblica.

      In questo saggio, si trattano ovviamente i due temi essenziali nella nostra ottica, sarebbe a dire pandemia e etica pubblica. Si cerca poi di presentare una versione di critical thinking reattivo basato su una premessa e una proposta. La premessa decostruisce la visione puramente clinica della pandemia, e la presenta come una reazione ambientale dovuta al mismatch tra i tempi della crescita tecnologica ed economico sociale da un lato e le nostre reazioni emotive e genetiche dall’altro. In altre parole, c’è continuità tra pandemia e crisi ambientale (come ha tra gli altri sostenuto Bruno Latour, su Le Monde del 25 marzo 2020). La questione è complicata dal fatto che la separazione tra società e natura come tradizionalmente intesa non ha forse più senso. Il sociale dipende molto dal naturale, a cominciare dal fatto che è popolato da attori senza forma umana quali batteri e virus e da strutture intellettuali impersonali come Internet. Al tempo stesso, il naturale è sempre più intriso di sociale in un’età che non a caso secondo molti è opportuno chiamare “Antropocene”, termine che alla lettera vuol dire “era dell’uomo”.

        Vista così, la crisi attuale -quella che accompagna la pandemia da covid-19- è diversa da molte di quelle che la hanno preceduta. Se prendiamo, per esempio, l’ultima tra queste crisi, quella finanziaria del 2007-2008, la differenza in questione è evidente. La crisi del 2007-2008 infatti era strettamente intra-umana. I risultati perversi che potevamo osservare dipendevano essenzialmente da comportamenti umani erronei con conseguenze visibili sugli umani stessi. Nel caso dell’attuale pandemia, invece, non è che manchino gli errori umani e neppure le luttuose conseguenze. Ma la causa scatenante è esterna. Non solo umana, e starei per dire in-umana come lo è un virus. Questo fa pensare che la crisi possa avere tra le sue cause una sorta di ribellione della natura contro l’arroganza dell’essere umano e il maltrattamento cui è stata sottoposta. Più avanti torneremo in maniera meno vaga su questo punto. Ma è certo che i rimedi e le speranze di un nuovo inizio dovrebbero scontare questa peculiarità.

        La nostra proposta in merito consiste nel porre le premesse della costruzione di un apparato filosofico -etico-politico e critico- che, sulla base della premessa appena menzionata, serva da base per comportamenti che aiutino a superare la crisi sia dal punto di vista individuale sia da quello collettivo. Come vedremo, questo apparato ha due aspetti analiticamente separabili ma nella vita reale congiunti. Il primo riguarda la persona e il secondo la società. A livello della persona (a latere personae), propongo il superamento della scissione tra etica e conoscenza da un lato, e tra etica e economia dall’altro: scienza ed economia non possono trascurare la moralità del soggetto umano. Il superamento della scissione etica-scienza parte da una rilettura dell’ultimo Foucault, quello del “souci de soi”, per suggerire modelli di comportamento ispirati alla meditazione e a un maggiore equilibrio anche psichico. Il superamento della scissione etica-economia riprende temi della Responsabilità Sociale di Impresa per proporre una visione più critica e meno egoista di quella -classica in economia- basata sull’ipotesi di homo oeconomicus. Il risultato di tutto ciò dovrebbe consistere in maggiore consapevolezza, aumentata coerenza della personalità, sviluppo del critical thinking, e in questo modo aiutare anche a evitare fughe di responsabilità di natura depressiva. Questa rinnovata consapevolezza dovrebbe condurci in prossimità della conquista di un senso del limite, come qui lo chiameremo, che è poi l’aspetto psicologo corrispondente a quell’oltraggio alla natura di cui si è detto (v in proposito le sezioni 9.1. e 9.2.). Il superamento della scissione tra sé e verità e tra io economico e io empatico ha luogo in virtù di una visione del valore basata sull’idea di unità organica, visione che è anche funzionale alla nostra versione della prospettiva della società (sezione 10).

        Nella prospettiva della società (a latere societatis), ho preso le mosse da un aspetto psicologico-sociale di solito trascurato della questione, che a me pare invece intellettualmente urgente da richiamare. Sto parlando della sorpresa che ha provocato la pandemia con la conseguente scoperta che siamo incapaci -molto di più di quanto non sospettassimo- di controllare gli eventi. Proprio questo shock -ripreso nel titolo di questo saggio- che è insieme cognitivo ed emotivo, può servire infatti per collegare la presa di coscienza individuale del limite di cui si diceva con atteggiamenti e comportamenti che poi influiranno sulla collettività. Penso all’affermarsi progressivo di una convinzione secondo cui consumare con avvedutezza, circolare un po’ di meno, rispettare la natura aiutino a evitare fenomeni come le epidemie e siano in genere premesse necessarie della virtù pubblica. Sono proprio cambiamenti del genere, a nostro avviso, che consentono scommettere su un’etica pubblica basata sulla sostenibilità. Proprio per questo, la nostra proposta punta molto su una ripresa all’ombra della sostenibilità (cui sono dedicate le sezioni 11-13), che non è solo ambientale ma anche economica e sociale. Come vedremo, per noi sostenibilità vuole dire così anche rendere il sistema capitalistico meno inegualitario da un punto di vista sociale ed economico.

        La parte conclusiva del saggio riguarda infine le conseguenze più tipicamente politiche della pandemia. Riuscirà il nostro regime liberal-democratico a resistere oppure prevarranno modelli autoritari? La globalizzazione economica continuerà imperterrita nelle sue forme pre-crisi oppure subirà una svolta drammatica? Quale futuro possiamo immaginare per il nostro Paese e per l’umanità nel suo complesso? Non sfuggirà a chi ci legge che è impossibile rispondere con precisione a domande del genere. Per cui, ci limiteremo ad avanzare ipotesi plausibili se si accettano le premesse del discorso. Assumendo la prospettiva della sostenibilità, normativamente concepita, cercheremo di pensare a modelli di crescita più rispettosi dell’ambiente e più egualitari, cui corrisponde una versione più ampia del valore di quella di solito adottata nelle scienze sociali. Questo se non altro perché se -come abbiamo suggerito- c’è un legame tra il problema ambientale, la pandemia attuale e la crisi di sistema che stiamo vivendo, allora dobbiamo proteggere il nostro futuro anche dall’insorgere della povertà assoluta e da un eccessivo conflitto sociale che dalla crisi stessa potrebbe derivare.

        Tutto ciò può apparire utopico nel senso cattivo del termine. Vero è, e non bisogna dimenticarlo, che il nostro approccio è di natura normativa (in senso filosofico). Così che più che descrivere il mondo come è -mondo che tra l’altro in questo momento non ci piace tanto!- preferiamo costruirne uno come dovrebbe essere. Ma questo scopo è perseguito partendo da un rendiconto dei fatti esistenti e delle idee in circolazione. Per cui se di utopia stiamo parlando, tutto sommato si tratta di un’utopia realistica.

04/05/2020
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Sebastiano Maffettone

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