Università precaria
Una prima ricognizione critica della Società Italiana di Filosofia Politica
La Legge 79/2022 ha introdotto una positiva novità nell’università italiana, riformando il preruolo. Attraverso il Contratto di ricerca, sostitutivo dell’assegno di ricerca e del contratto RTD-A, e attraverso il contratto RTT, sostitutivo ma (più o meno) analogo al contratto RTD-B, il passaggio dal dottorato di ricerca alla docenza si riduce da tre a due figure contrattuali. Con una differenza decisiva: il Contratto di ricerca è un contratto di lavoro di tipo subordinato, dunque con maggiori tutele retributive, previdenziali e dal punto di vista dei diritti più in generale, rispetto all’assegno di ricerca, che è invece un contratto di collaborazione coordinata e continuativa. Un indiscutibile avanzamento che la norma, però, ha privato degli strumenti finanziari indispensabili per valorizzare pienamente il nuovo corso. Norma ancora parzialmente applicata, tra l’altro, vista la proroga della validità degli assegni di ricerca successivamente disposta.
Prendendo spunto dalla Legge 79/2022, il documento a seguire propone una ricognizione critica sulle condizioni di precarietà di ricercatori e docenti nelle università italiane, pubbliche e private. Riconoscendo il salto di qualità introdotto dalla norma, fa il punto su quel fenomeno di «decrescita» che, più in particolare, ha contraddistinto l’università pubblica; a partire dalla Legge 133/2008, e per diversi anni, privata di risorse essenziali, con un pesante blocco del turnover – dal 2008, 20 mila strutturati meno. Nel sostenere dunque convintamente la novità normativa per quel che riguarda il preruolo, il documento segnala i numeri della «decrescita» – nelle sostanziali differenze geografiche, disciplinari e di genere – e sollecita un intervento finanziario adeguato affinché l’introduzione del Contratto di ricerca si accompagni a un rinnovato piano di reclutamento.
A fianco della ridefinizione dell’inquadramento contrattuale per i ricercatori, è però anche necessario immaginare strategie diverse e complementari di selezione delle e dei neo-addottorati in vista di tali contratti, specialmente nella delicata fase immediatamente successiva al conseguimento del titolo di dottorato. La proposta che avanziamo è quella di un programma nazionale di contratti postdoc, bandito a cadenza regolare e su tema libero, di durata almeno biennale e accessibile nei 3 o 4 anni successivi al conseguimento del titolo, al pari di quanto già avviene ad es. in Germania, in Belgio, in Olanda, in Spagna e in Portogallo. Tale programma, indipendente dalla disponibilità di finanziamenti nelle sedi locali e da progetti tematici di ricerca finanziata, consentirebbe alle e ai neo-addottorati un accesso autonomo alla fase post-doc, su una base competitiva e trasparente di scala nazionale. Il programma contribuirebbe a contenere alcune logiche localistiche di selezione e potrebbe favorire un’effettiva mobilità tra sedi universitarie interne al Paese. Inoltre, consentirebbe alle e ai partecipanti di consolidare il proprio profilo professionale e la propria autonoma linea di ricerca in vista di un successivo accesso a posizioni con tenure track, in Italia e non, nonché a bandi europei.
[Continua nel documento allegato]