Vademecum della democrazia. Un dizionario per tutti

R. Gatti, L. Alici, I. Vellani (Editrice AVE, Roma 2013)

Come è noto, Kant individua nell’emergenza di un significativo segno storico l’unica possibile giustificazione in ambito teorico dell’idea che il genere umano sia in progresso verso il meglio. Non  è possibile, infatti, considerare il progresso una legge naturale perché potrà sempre verificarsi quel  punctum flexus contrarii che trasformi un meraviglioso progredire in un regresso: l’uomo è, infatti,  un essere libero. Per Kant questo segno storico era rappresentato dall’entusiasmo che la Rivoluzione  francese suscitava in coloro che la guardavano da fuori (gli spettatori). Se si è manifestato un tale  entusiasmo, allora deve esistere una certa disposizione morale del genere umano che indirizzi  necessariamente quest’ultimo verso il progresso (I. Kant, Il conflitto delle facoltà in tre sezioni.  Seconda sezione: il conflitto della facoltà filosofica con la giuridica (1798), in Id., Scritti di storia,  politica e diritto, a cura di F. Gonnelli, Laterza, Roma-Bari 2006).

Se accettiamo l’idea che possano veramente esistere dei segni storici che ci diano conto della  direzione che il genere umano ha intrapreso e sta seguendo, il fatto che nel 2013 sia stato pubblicato  un Vademecum della democrazia potrebbe rappresentare una testimonianza dello stato “regressivo”  delle istituzioni democratiche e della loro tenuta. Dovremmo ovviamente limitare il contesto di  riferimento: magari non il genere umano senza distinzioni spazio-temporali, a cui pretendeva di  riferirsi Kant, ma l’Italia del nostro presente, allargando legittimamente il discorso alle democrazie  occidentali. Si tratterebbe certamente di un segno più modesto e circoscritto rispetto alla  Rivoluzione francese e di significato opposto: non signum del progresso, bensì del regresso. 

Il riferimento kantiano è, ovviamente, solo una suggestione o una provocazione. Eppure che  qualcuno senta il bisogno di ritornare ai fondamenti, alle parole chiave della democrazia per  definirli e specificarli ci dice molto della situazione politica, sociale e culturale che sta vivendo il nostro paese. 

La forza di questo dizionario (quarantotto voci completate da bibliografia e sitografia finali) sta  nella sua capacità di intercettare un bisogno comune a molti uomini e donne del nostro tempo, siano  essi attori della politica, studiosi, persone comuni alle prese, da una parte, con le difficoltà del  vivere quotidiano e dall’altra con un mondo della politica, il luogo dove “si decide”, molto spesso  percepito come lontano a causa del linguaggio, vuoto e distante, con cui si esprime. Un bisogno che  ha, in realtà, molteplici sfumature. 

Da una parte, si tratta dell’esigenza di recuperare il più profondo e autentico significato di quei  fondamenti e di quelle parole chiave, in un momento in cui la crisi pervade molti degli ambiti che  comunemente associamo al mondo della politica e quindi della democrazia: crisi della  rappresentanza, crisi dei partiti politici, crisi della leadership, crisi delle istituzioni. Una “crisi di  sistema” è quella che sempre più spesso sentiamo evocare e denunciare. La democrazia è un  contesto che consideriamo come dato, consolidato nella sua forma e indiscutibile: solo nei momenti  in cui i suoi elementi fondanti cominciano a vivere una crisi ne percepiamo, invece, la profonda  fragilità. Essa, al di là delle innumerevoli definizioni che ne possono essere date, rimane forse la più grande «aspirazione umana»: «Innumerevoli sono stati e sono tuttora i dibattiti su cosa debba  intendersi per democrazia. Ciò è riprova del grande valore attribuito a quest’aspirazione umana, ma  anche del fatto che l’esperienza storica ha evidenziato una molteplicità ed eterogeneità di istituzioni  e di ordinamenti qualificati (a ragione o a torto) come democratici» (voce «Democrazia», p. 125).  Tornare al significato profondo delle parole che la costituiscono significa tentare di discernere tra  ciò che è autenticamente democratico e ciò che non lo è. Nell’idea di “crisi” c’è il senso del distinguere, del giudicare, del discernere tra ciò che viene prima e ciò che viene dopo e che, proprio  a causa della crisi, può subire una metamorfosi significativa. Ma significa riaffermare anche e  soprattutto la centralità della parola nel senso arendtiano e quindi “antico” del termine: «Essere  politici, vivere nella polis, voleva dire che tutto si decideva con le parole e la persuasione e non con  la forza e la violenza». Per i greci costringere e imporre, piuttosto che persuadere, erano pratiche  proprie delle relazioni «fuori della polis»: la casa, la famiglia, gli imperi asiatici (H. Arendt, Vita  activa. La condizione umana, tr. it. di S. Finzi, Bompiani, Milano 2005, p. 20). 

D’altro canto, un Vademecum che voglia essere utile oggi non può fare a meno di essere  integrato da termini che, pur non rientrando nei fondamenti originari della democrazia, rappresentano ormai alcuni suoi ambiti (concettuali e pratici) irrinunciabili. Non è un caso che un  dizionario di questo tipo contenga la voce «web» e che si parli esplicitamente di necessità di  problematizzare la rete, tenendo presente la metamorfosi che la democrazia ha subito e sta subendo dalla rete e nella rete: «L’architettura delle reti non è di pertinenza esclusivamente settoriale. Man  mano che Internet si diffonde fra le masse, essa esercita un’influenza crescente sulla qualità del  dibattito pubblico. Per questo merita di essere studiata tecnicamente e discussa politicamente come  una questione di cultura e di interesse generale» (voce «Web», p. 479). Il problema della rete e di  quanti nuovi ambiti di riflessione si possano aprire se ci interessiamo di questo problema dal punto  di vista politico sta nella definizione stessa di Internet, nella considerazione che di questo strumento  abbiamo: «Internet è un modo di coesistere e di cooperare per tutto ciò che chiama se stesso rete  (network). È una rete di reti (inter-network). Alla lettera» (D. Searle, D. Weinberger, Regno dei fini,  Che cos’è internet e come smettere di scambiarla per qualcos’altro, tr. it. di M. C. Pievatolo,  «Bollettino telematico di filosofia politica», 2003, htpp://bfp.sp.unipi.it). Non è un contenuto, ma un  contenitore. È un filo, o meglio un insieme di fili che può essere teso – nella e per la democrazia – in maniera più o meno adeguata e giusta. 

Parole e termini relativamente nuovi sono diventati un bagaglio concettuale della nostra  democrazia perché proprio a causa dell’emergere di alcune tematiche e di alcuni ambiti di interesse si è stati costretti a riflettere sulla democrazia stessa, sui limiti e sulle condizioni delle sue  istituzioni. Mi riferisco, ad esempio, all’importanza sempre maggiore che hanno assunto le  questioni bioetiche nel dibattito pubblico, in particolare per quanto riguarda il problema della  traduzione in ambito giuridico delle norme etiche (cfr. voce «Bioetica», p. 51). La bioetica è oggi un tema sensibile per la politica e questo termine può di diritto essere considerato parte dell’insieme  concettuale proprio della democrazia. Lo stesso si potrebbe dire per altri termini: «biopolitica»,  «dono», «comunità internazionale», «europeismo/Europa», «meritocrazia», tanto per citarne alcuni.  Altre parole si sono arricchite di significati nuovi, che devono essere con urgenza ridiscussi: «ambiente», «bene comune», «partiti e movimenti politici», «pubblicità». Il linguaggio della  democrazia si rinnova, si arricchisce: alcuni termini perdono la loro valenza originaria e vengono  sostituiti da altri; oppure lo stesso termine non è pensato e utilizzato allo stesso modo di venti o  trenta anni fa. 

La forma del dizionario consente, poi, di soddisfare un altro bisogno, che è quello che la  riflessione sui fondamenti della democrazia non diventi puro e semplice esercizio teorico, ma sia  sfruttabile sul campo nel momento in cui uomini e donne, interessati in vario modo e a diverso  titolo alla dimensione della cosa pubblica oppure chiamati a concretizzare una qualsiasi forma di  relazione interpersonale democratica, abbiano bisogno di capire quali siano gli strumenti a loro  disposizione. Questo perché «i cittadini delle democrazie contemporanee si trovano a dover  reinterpretare il loro ruolo di attori politici» (voce «Cittadinanza», p. 77) ed hanno quindi bisogno  sia di comprendere i significati delle parole, sia di farli propri e utilizzarli in una discussione  pubblica che è diventata più invadente e coinvolgente. 

Un dizionario della democrazia non è concepibile come un collage di pezzi, posti l’uno dopo  l’altro seguendo un ordine semplicemente alfabetico, ma si tratta piuttosto di un puzzle dove, se  manca una parte, non è possibile guadagnare una visione d’insieme. E le parti da sole non ci dicono  molto se non sono correlate al risultato (l’immagine) finale. I termini si rimandano necessariamente  l’uno con l’altro e, in alcuni casi, non si può comprendere l’uno senza interessarsi ai contenuti degli  altri. Un termine, forse, può fare da contenitore a tutti gli altri, se escludiamo ovviamente quello di  democrazia: la «cittadinanza», necessariamente connessa, influenzata e integrata da tutti gli altri.  Come possiamo pensare e svolgere il nostro ruolo di cittadini oggi, in una società plurale e  globalizzata? Come è possibile declinare l’esigenza e il desiderio di partecipazione delle donne e  degli uomini del nostro tempo? Ritengo che lo scopo ultimo di questo dizionario è proprio quello di  dare un contributo sostanziale e significativo alla creazione di una cittadinanza consapevole. 

L’ultima considerazione che mi sentirei di fare riguarda il metodo utilizzato. Si tratta di un’opera che ha visto lavorare su un terreno comune studiosi di alto livello, figure autorevoli, molti giovani  che si occupano, spesso nell’incertezza di un lavoro perpetuamente precario, di questi temi ogni  giorno. Si tratta di un significativo esempio di una conoscenza alta e qualificata che viene divulgata  e resa patrimonio di tutti. E questo non perché è semplicemente stato dato alla stampa un testo come  accade per tanti altri testi oggi, ma perché era nell’intenzione stessa degli autori di realizzare un  dizionario «per tutti».  

Per tornare all’iniziale citazione kantiana, un Vademecum della democrazia è allora il segno  storico che testimonia in maniera più cristallina la crisi della nostra democrazia, che è poi comune a  quello che – forse troppo semplicisticamente – definiamo il mondo occidentale. Volendo essere più  rigorosi, non è tanto il dizionario ad essere un segno, quanto il sentimento che esso suscita nei suoi  lettori potenziali e reali. E il sentimento è quello che ci porta a dire che di questo dizionario ce n’era  bisogno, risvegliando in noi una certa disposizione morale alla difesa della democrazia stessa. 

Esso contiene al suo interno, nelle sue pagine, la risposta alla tendenza di cui sarebbe segno. È  proprio con questi rinnovati strumenti concettuali e pratici, infatti, che potremmo e dovremmo  prepararci alla preparazione di un punctum flexus contrarii opposto a quello che pensava Kant: cioè  quel punto che permetta alla democrazia stessa, ripensando se stessa e i suoi fondamenti, di resistere e progredire. 

Si tratta anche di un alto esempio di responsabilità politica, definita, usando il dizionario stesso,  come «valenza politica di quella relazione di me o di noi con altri che, a qualche titolo, mi sono  affidati; la relazione di me o di noi con situazioni di cui farsi carico, con la storia e il tempo in cui  siamo immersi» (voce «Responsabilità politica», p. 409). Non possiamo prevedere se, com’è  nell’intenzione dei curatori, questo dizionario diventerà «un libro che ognuno può, volendo, portare  con sé e consultare quando ne ha bisogno» (“Introduzione”, p. 3). Non posso negare di subire il  fascino dell’immagine di un mondo in cui cittadini di diversa estrazione sociale abbiano tempo e  desiderio di consultare un dizionario “al bisogno”. Forse questo aspetto attiene più all’ambito del  sogno e della speranza, che non a quello della realtà. Ma se è vero che «in un tempo e in un paese,  come il nostro, in cui quanti scrivono rischiano ormai di essere più quanti leggono, ogni libro deve  dimostrare di avere una buona ragione per uscire alla luce del sole» (ibidem), anche il solo fatto di  farsi carico di un impegno a favore della democrazia e proiettato nel futuro rappresenta una  dignitosa motivazione. 

12/06/2014
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