La miktè politéia tra antico e moderno. Dal “quartum genus” alla monarchia limitata
Taranto Domenico (Milano, Franco Angeli, 2006.)
Le riflessioni condotte durante i secoli intorno al governo misto costituiscono un tentativo di attuare scientificamente una tutela giuridica dello Stato. Lo scopo è quello di costruire un ordinamento stabile, equilibrato e giusto in cui ad una sola forza politica o sociale, ovvero ad un unico principio ideologico, sia giuridicamente impedito di prevalere e d’intaccare il bene comune.
A partire dall’antico pensiero greco, il mutamento delle forme di governo è interpretato come il passaggio da una forma di governo “buona” ad una “cattiva” attraverso una degenerazione continua, paragonato all’incessante corruzione di tutte le cose; donde, si giudica necessario ricorrere a saggi e ponderati interventi umani per limitare questa degradazione “naturale”. Nell’addurre esempi di Stati di lunga durata – primi fra tutti, la repubblica romana, il regno lacedemone, la monarchia inglese e il reggimento veneziano –, i fautori del miktè politéia cercano di dimostrare come quella loro prodigiosa e quasi sovrannaturale saldezza dipenda dal peculiare assetto costituzionale dei governi misti ad essi propri.
Il regimen mixtum è fondato sul contemperamento e sul controllo reciproco delle forze sociali, così da impedire l’abuso del potere, temibile fonte di corruzione dello Stato. In tale rifiuto del monismo politico o ideologico, ovvero nell’unanime rispetto del “limite”, si vede chiaramente come il governo misto ubbidisca ad un principio di equità: è giusto dare a ciascuno il suo e – insieme – è giusto che ognuno faccia ciò che gli spetta.
[Per leggere di più, vedi allegato]