GASTON FESSARD: LA PREFAZIONE ITALIANA DEL 1947 AD AUTORITÉ ET BIEN COMMUN

Il pensiero di Gaston Fessard è attualmente al centro di un rinnovato interesse da parte della critica.  Una riscoperta che sembra trarre impulso da due spinte differenti. All’interno del contesto francese,  il lungo e costante lavoro di trasmissione dell’opera del gesuita, avviato dal suo allievo e biografo  Michel Sales e proseguito da Frédéric Louzeau. Frutto di questa impresa è il crescente numero di  studi dedicato all’opera fessardiana, apparsi nel quadrilatero. Mentre, in ambito internazionale, il  pensiero fessardiano è stato riscoperto a partire dall’influsso che questo ha avuto su quello di Jorge  Mario Bergoglio, recentemente messo in luce da Massimo Borghesi. Per il contesto italiano il nome di Fessard è tutt’altro che nuovo. Il gesuita francese presenzia a partire dagli anni Quaranta ad alcuni significativi eventi svoltisi in Italia, grazie anche alla mediazione di  Enrico Castelli, e ai “Colloqui” che questi ha organizzato a partire dagli anni Sessanta. L’interesse  suscitato dalla figura di Fessard chiarisce il tentativo di pubblicare la traduzione italiana del volume  Autorité et Bien commun, edito da Aubier nel 1944. Un progetto editoriale destinato a fallire, in vista  del quale Fessard aveva, tuttavia, redatto una Prefazione nel 1947, rimasta inedita per decenni.

Il tentativo appena richiamato costituisce una parentesi che non è stata riaperta negli anni successivi,  nei quali nessun volume fessardiano è apparso in traduzione italiana.  

Quella di Fessard è una prospettiva sistematica che rilegge in maniera originale alcune correnti e  categorie centrali del pensiero moderno, nella quale convergono differenti linee teologiche e  filosofiche. La complessità che ne segna l’intero andamento non ha facilitato la diffusione dell’opera  del gesuita, unitamente al contesto storico entro il quale questa si è sviluppata, marcato da momenti  di estrema criticità sul piano politico e sociale, così come culturale e teologico. Esemplificativo di  quest’ultimo è il dibattito sorto negli anni Quaranta attorno alla cosiddetta Nouvelle théologie, e, in  particolare, le vicende riguardanti l’École de Fourvière di Lione. Una querelle della quale portano il  segno gli scritti di Fessard, di cui sono esempio, tra gli altri, gli evidenti riferimenti al dibattito in  corso fatti nella Prefazione all’edizione italiana di Autorité et Bien Commun nonché il fallimento  dell’impresa editoriale appena richiamato. 

Tuttavia, la crescente attenzione rivolta negli ultimi anni all’opera del gesuita sembra sottolinearne  l’attualità e l’interesse che questa riveste all’interno del contesto contemporaneo. In tale direzione  vanno le numerose pubblicazioni nonché l’importante convegno parigino del 2018, dal titolo  Actualité de la pensée du Pére Gaston Fessard.  Tra i molteplici spunti di riflessione offerti dalle pagine fessardiane, merita particolare attenzione la  nozione di Bene comune che, mediante l’originale formulazione offerta dall’autore consente di  ripensare questo importante e dibattuto tema all’interno del contesto attuale. Un tentativo che, in area francese, ha trovato ampia formulazione nello studio condotto da Dominique Serra-Coatanea.  L’autrice si rivolge alla nozione fessardiana con l’intento di ricavarne uno “strumento euristico” capace di misurarsi con la necessità di articolare assieme interessi individuali e finalità collettive,  rispondendo così alle principali sfide che segnano il contesto attuale. 

Fessard presenta la propria riflessione sulla nozione di Bene comune nel corso degli anni Quaranta,  in un contesto storico segnato dai tragici eventi del Secondo conflitto mondiale, un dato che consente  di fare maggiore luce sulla stretta connessione stabilita dall’autore tra il tema indicato e quello  dell’autorità. In particolare, sono lo scontro tra Resistenza e collaborazionismo nei confronti del  nazionalsocialismo e la costituzione del regime di Vichy a costituire lo sfondo nel quale si inseriscono  le pagine dedicate ai temi richiamati: il volume Autorité et Bien commun, redatto nel 1941 e  pubblicato nel 1944, lo scritto del 1942 Collaboration et Résistence au pouvoir du Prince-Esclave,  indirizzato al Cardinale Suhard e rimasto inedito fino al 1989 e il manoscritto, pubblicato nel 1996,  dal titolo Force et justice, redatto nel 1942.  

In tutti questi scritti la riflessione sul bene comune implica quella sul grado di legittimità dell’autorità  e s’iscrive all’interno di una più vasta analisi del fenomeno comunitario che Fessard conduce  mediante il ricorso a un peculiare approccio dialettico.  

Si tratta del metodo messo definitivamente a punto negli scritti raccolti in De l’actualité historique,  pubblicati nel 1960, ma su cui l’autore riflette già nel corso degli anni Trenta, che consente di  interpretare i legami comunitari sulla scorta di una costante tensione tra momento politico ed  economico. Per questo risulta perfettamente comprensibile il riferimento, all’interno della Prefazione, redatta per il pubblico italiano nel 1947, allo scritto di un anno precedente, Le  materialisme historique et la dialectique du maître et de l’esclave, e a quello coevo, Théologie et  histoire: à propos de la conversion d’Israël

Per riflettere sul Bene comune, quale «legge prima e ultima della società», Fessard si interroga sull’autorità in quanto «potenza generatrice del legame sociale», distinguendone le dimensioni  essenziali, per le quali si manifesta come un potere di fatto, di diritto e di valore. L’immediata e  astratta identificazione tra il primo e il secondo è, per l’autore, il limite delle letture offerte da Hegel  e Marx. Come Fessard stesso dichiara nella Prefazione del 1947, entrambi hanno  scoperto gli elementi della seconda, ma senza riconoscere la sua importanza, né, soprattutto, il suo  valore fondamentale come principio della genesi naturale e storica dell’uomo. Questa dialettica che  determina la nascita innanzitutto della famiglia e, in seguito, della nazione, e si dimostra capace di  superare la divisione del politico e dell’economico, sorta all’interno dei rapporti di Signore e di  Schiavo. Il legame della dialettica tra uomo e donna si fonda nell’amore, quindi sulla reciprocità che integra e  supera i limiti cui è sottoposto il paradigma di riconoscimento implicito alla lotta tra servo e padrone.  Fessard riconosce a quest’ultima la capacità di spiegare quella forza primordiale che sta alla base di  ogni comunità, ritenendola tuttavia insufficiente a chiarirne la complessità, al punto da dover essere  integrata dalle altre coppie dialettiche. Infatti, la lotta per il riconoscimento spiega «il doppio rapporto dell’uomo all’uomo e dell’uomo alla natura», quindi la dimensione politica ed economica  che però restano, a questo livello irrelate o, quantomeno, in un’unità astratta.  

Il potere dell’autorità passa concretamente dalla condizione di fatto a quella di diritto solo mediante  una forma di riconoscimento e di lotta fondata sulla reciprocità e la complementarietà. Per questo la  tensione tra uomo e donna realizza «in se stessa il cambiamento di senso, la conversione, mettendo  in interazione il politico e l’economico anziché disgiungerli o limitarsi a invertirne le rispettive  posizioni». Il riconoscimento a questo livello si fonda sulla reciprocità. La paternità, la maternità e  la fratellanza che ne derivano, fungono da paradigmi di relazione sociale e politica. Le dimensioni  del politico e dell’economico trovano un nesso concreto all’interno dei rapporti di reciprocità tra lo  Stato, che Fessard considera corrispondente alla figura paterna, e la società civile, corrispettivo  sociale della maternità, i quali unitamente alla fratellanza consentono di comprendere la natura del  legame nazionale.  

Il piano relazionale e le tensioni dialettiche che lo regolano chiariscono la genesi e la legittimità  dell’autorità. Se il riconoscimento che soggiace alla lotta tra servo e padrone non è sufficiente a  chiarire la concretezza del legame sociale, quello declinabile in termini di reciprocità permette di  pensare l’effettivo passaggio dal potere di fatto a quello di diritto e aprire in direzione del valore.  

Come è stato giustamente sottolineato, per Fessard,  l’essenza dell’autorità deve essere percepita come un processo di crescita, un “far crescere” accessibile  secondo due accezioni, far nascere e compiere. La fecondità di questo processo si misura mediante la  sua capacità di ridurre la distanza tra i partners. La sua finalità può esprimersi allora sotto la formula  paradossale “di essere il volere della sua fine”. 

L’autorità legittima è quella che rispetta la sua stessa natura di «mediatrice del bene comune» e che,  all’interno del contesto relazionale nel quale sorge, promuove una dinamica di reciprocità in direzione  di una dimensione valoriale unificante. È l’autorità che tende alla sua fine in termini di compimento  della sua stessa essenza e del ruolo rivestito. 

In questa dinamica il Bene comune avviene, poiché non si tratta di un elemento astratto e  predeterminato, bensì di un risultato. Come sintetizza chiaramente Serra-Coatanea:  il bene comune [è concepito] come ciò che “avviene”. Un evento che si produce nella storia quando la  messa in relazione reciproca delle persone, conformemente al loro ruolo sociale, è percepita dagli attori  di questo scambio dei beni come il risultato di un legame che porta a compimento la mutualità.  sottolineiamo che questo legame passa per la comunicazione mutua, e ne rivela la potenza di  comunione. Il bene comune non è dunque un oggetto misurabile sul quale possiamo mettere mano. È un bene soggetto a un’operazione, e non solamente un bene “cosa” che sarebbe l’oggetto di questa  operazione. 

Il contenuto di questo evento, di tale Bene comune, viene indicato da Fessard mediante la distinzione  dei fini verso i quali tende. Così vi è il «bene comune elementare» di una società che consiste  nell’esistenza e nella sicurezza del popolo, condizione necessaria e basilare per la coesione sociale. A questa prima finalità si aggiunge l’ordine di diritto, un insieme di regole e istituzioni, che si basano  sulla giustizia e si affidano alla autorità. Questi due primi elementi costituitivi del Bene comune,  sono inferiori al terzo che, Fessard, indica come «Bene comune superiore», appartenente alla sfera  valoriale e ideale. Quando l’autore, nel corso degli anni Quaranta, si interroga sulla legittimità  dell’autorità è proprio questa articolazione interna al Bene comune a fornire una risposta. Le tre  finalità cui tende il Bene comune ripetono, come è evidente, le dimensioni nelle quali si articola  l’autorità. In entrambi i casi la finalità perseguita riguarda un ordine di fatto, di diritto e di valore.  L’autorità legittima non può essere quella del Principe-Schiavo, il cui potere non risulta essere  contemporaneamente di fatto e di diritto, e nella quale il bene perseguito non corrisponde al Bene  comune superiore. Come l’autore afferma in Collaboration et Résistence au pouvoir du Prince Esclave: «Il bene comune, fine dell’essere sociale umano consiste nella perfezione dell’ordine di  diritto, risultante dalla messa in relazione reciproca dell’esistenza del popolo con i suoi valori». 

Quella del Principe-schiavo è, allora, un’autorità che non merita un’obbedienza incondizionata,  poiché il suo potere è «sovrano di diritto e servile di fatto». Quella autorità che, all’epoca, si  identificava con il regime di Vichy, risultava incapace di perseguire il Bene comune superiore, poiché  provocava una dissociazione del fine inferiore e del fine superiore del Bene comune, i quali  normalmente sono uniti nell’ambito dell’ordine di diritto. […] è a partire dal Bene comune universale  che il cittadino doveva cercare di discernere se l’ordine datogli emanasse dall’autorità legittima o dal  potere illegittimo, per obbedire all’una e resistere all’altro. 

Un ulteriore chiarimento è offerto all’interno di Autorité et Bien commun, mediante la distinzione tra  il Bene della comunità, inteso come ciò che costituisce la prosperità concreta di una determinata  società. Un punto di vista particolare che la Comunità di bene, amplia in termini universali. I beni  che la società possiede di fatto divengono acquisiti di diritto, in questa seconda prospettiva.  Esattamente come l’autorità e i fini perseguiti dal Bene comune, anche all’interno delle categorie del  Bene comune vi è la necessità di un punto di vista superiore, capace di guidare e unire: il Bene di  comunione, legame sostanziale che completa la reciproca interazione necessaria tra il Bene della  comunità e la Comunità di bene, il valore verso il quale tendere: Corrispondendo al fatto e al diritto nell’autorità, Bene della comunità e Comunità di bene sono anche  i due aspetti fondamentali del Bene comune […] Ma perseguiti l’uno a esclusione dell’altro, pervertono  e distruggono il legame sociale, l’uno per mancanza di universalità, l’altro per assenza di determinazione concreta. Affinché il Bene comune sia ricercato e conseguito nella sua verità e nella  sua realtà, bisogna al contrario che questi due aspetti siano messi in relazione reciproca e divengano  l’uno per l’altro mezzo e fine […] Questa reciprocità d’azione è veramente l’anima, il nodo vitale, il  legame sostanziale del Bene comune. Così per essere distinto dai due aspetti opposti che unisce, merita  di essere chiamato Bene di comunione

La necessaria reciprocità tra gli elementi declinati, tanto sul piano dell’autorità quanto su quello del  Bene comune, che già gli scritti degli anni Quaranta iniziano ad articolare nei termini della dialettica  amorosa sussistente tra uomo e donna, è l’elemento che le «mistiche totalitarie» pervertono, perdendo  in tal modo qualsiasi forma di legittimità.  

La prospettiva fessardiana in quanto tentativo di articolazione della dimensione politica, economica ed etica, fornisce un paradigma aperto mediante il quale ripensare la nozione di Bene comune nella  complessità che la caratterizza. La stratificazione messa a fuoco dall’autore non si propone di  delimitare in termini astratti la nozione di Bene comune, e permette, al contrario, di pensarla come  un risultato che si rinnova costantemente. Segno dell’attenzione che Fessard ha riservato alla storia,  nel corso di tutto il suo pensiero, e di una lettura che la peculiare metodologia dialettica consente di  mantenere aperta.  

10/09/2019
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