Dismisure. Abensour, Machiavelli e la contemporaneità
A. De Simone (Mimesis, Milano, 2017)
Il rapporto tra verità, potere e soggetti costituisce probabilmente uno dei contesti più cruciali su cui si può esercitare la riflessione filosofico politica contemporanea e attorno a questo rapporto cerca di muoversi il discorso che Antonio De Simone snoda in questo suo nuovo libro, costruendo una trattazione che parte dal pensiero di Miguel Abensour e si estende a Machiavelli e alla teoria critica francofortese, ritenendoli ad esso complementari per alcune motivazioni politiche importanti. Il contributo di Abensour, recentemente scomparso, costituisce una traccia di notevole rilevanza per De Simone, in quanto esso permette di impostare e indagare opportunamente il problema della possibilità di una filosofia politica critica. Caratteristica fondamentale dell’analisi di Abensour si può considerare il fatto che il filosofo francese non riduce la filosofia politica a una connotazione accademica o istituzionale, ma ritiene necessario legarla alla diagnosi critica della modernità: egli appare dunque persuaso che la filosofia politica critica è una teoria del conflitto, «è sempre e comunque attivazione di un dissenso e di un’opposizione, ovvero di una diversità» (p. 45). Questa convinzione è motivata dal fatto che il pensiero di Abensour si richiama necessariamente a Machiavelli, ossia a colui che notoriamente apre il discorso politico della modernità, cogliendone l’ontologia conflittuale e la logica intrinseca del potere, del dominio e della lotta. Abensour, in definitiva, respinge ogni idea di fine della storia e di una condizione umana conciliata e priva di conflitti. Da questi presupposti discende, dunque, la sua filosofia politica in senso critico e di qui De Simone legge, successivamente, il rapporto del filosofo francese con la teoria critica della Scuola di Francoforte: nella teoria critica francofortese sono contenute «analisi del dominio» (p. 48), apprezzate da Abensour, per una serie di motivazioni che De Simone intende esaminare. Si tratta, a questo punto, di procedere a una operazione concettuale delicata, poiché esplorare l’articolazione tra teoria critica e filosofia politica critica richiede attenzione e un cammino complesso. Nondimeno, queste considerazioni aprono uno scenario di ricerca particolarmente meritevole e intellettualmente stimolante: che affinità può esistere tra teoria critica e filosofia politica? Al di là di tutte le possibili interpretazioni, la teoria critica rimanda a una connotazione politica, poiché essa compie una diagnosi della modernità e della crisi della ragione, entrambi aspetti che sottendono anche un’analisi del dominio che si può determinare all’interno dei contesti socio-politici. Su questo punto decisivo, De Simone si sofferma nel suo libro attraverso due specifici esercizi filosofici, uno incentrato su illuminismo e dialettica del dominio nel pensiero di Adorno e Horkheimer, l’altro sulle configurazioni dell’idea del conflitto nel pensiero di un altro importante filosofo politico contemporaneo, Rancière. Il primo esercizio (pp. 53- 74) sottolinea come la dialettica dell’illuminismo proposta dai francofortesi contenga una indubbia portata politica, quando pone il problema del dominio e dell’autorità che si impongono sugli uomini e tocca, parallelamente, il tema della ricerca della libertà e della costruzione di una società secondo ragione. Il secondo esercizio filosofico (pp.74-92) proposto da De Simone riprende il contributo di Rancière che ha una sua complementarietà su questi aspetti, poiché esso si sofferma sul punto nodale dello statuto della filosofia politica. Dalla lettura di Rancière, infatti, emergono elementi decisivi, quali la separazione tra la politica e il dominio, il riconoscimento della specificità della politica, la rilevanza del modello del conflitto, il rifiuto del governo dei filosofi: «nel sociale si aprono sempre e comunque fronti antagonistici di soggettivazione polemica» (p. 83) attraverso cui lo spazio pubblico viene a configurarsi. Questi elementi espressi da Rancière sono ripresi da Abensour, permettendogli così di riconoscere nel disaccordo
l’essenza di una filosofia politica critica. Conseguentemente, secondo De Simone, Abensour arriva alla posizione specifica secondo cui la teoria critica è un salvataggio della filosofia politica, poiché la teoria critica ha trasferito le questioni ad essa proprie in un’altra dimensione problematica, ossia quella del dominio e dell’emancipazione. Il punto debole della teoria critica rispetto a questo discorso, particolarmente in Horkheimer, sta nell’aver posto la politica dal lato del dominio, come se le idee di libertà, solidarietà, autonomia, emancipazione non avessero a che fare con la politica. Abensour, consapevole di questi aspetti, pertanto si spinge ad articolare la questione della politica e la realtà del dominio, ossia a pensare queste dimensioni tenendone presente il profondo rapporto che tra esse intercorre: in tal modo, non solo il paradigma della teoria critica non cede al pathos del dominio, ma al tempo stesso il paradigma politico non ignorerebbe la realtà del dominio, pur rifiutando di assolutizzarlo. Precisando ulteriormente, si può affermare che «Abensour sposta l’asse critico dell’attenzione sul piano programmatico e si chiede quali siano i margini di operatività del rapporto che oggi è possibile stabilire fra teoria critica e filosofia politica proprio per non rimanere nell’alternativa della scelta fra l’una o l’altra» (p. 86).
De Simone, dunque, individua il valore della riflessione filosofico politica collocata nel percorso che unisce Abensour, Machiavelli e la teoria critica, non solo nella sua essenza, ma anche perché in definitiva, concretamente, questo tipo di riflessione diventa ispirazione per confrontarsi con le tante problematiche, o “dismisure” come appunto le definisce il titolo del volume, che caratterizzano l’epoca attuale e che De Simone analizza nella parte conclusiva del suo studio: paure, violenza, crisi di identità e di coscienza, indifferenza, insicurezza, globalizzazione, manipolazioni. Allora, la politica, su questo sfondo, appare come un’attività troppo complessa perché un solo paradigma filosofico possa esaurirla, e di conseguenza una corretta diagnosi critica del presente diventa più difficile di fronte alle forme di “disparità” (termine tramite cui De Simone richiama la lettura di Žižek) che caratterizzano da tempo la modernità capitalistica. La nuova cifra del mondo contemporaneo può essere individuata da De Simone nel «rapporto tra conflitto, sovranità, potere e libertà» (p. 137), un rapporto che «manifesta a livello politico inedite trame e configurazioni dialettiche» (ibidem) di cui è necessario continuare a tener conto.
In ultima analisi, la lettura di De Simone, sulla scia di altri suoi testi imperniati sui vividi problemi del pensiero politico (si vedano in particolare Dislocazioni del politico. Tra responsabilità e democrazia – Simmel, Weber, Habermas, Derrida, Morlacchi, Perugia 2011, Conflitto e socialità, Liguori, Napoli, 2011, L’arte del conflitto. Politica e potere da Machiavelli a Canetti-Una storia filosofica, Mimesis, Milano, 2014), può costituire un proficuo strumento di ricerca per ricollocare la filosofia politica nella sua connotazione più dialettica, sollecitando un dibattito ancora aperto e ricco di spunti, sia sullo statuto epistemologico di questo campo del sapere, sia sulle modalità con cui essa si relaziona alla vicenda storico-sociale contemporanea.