Come stranieri a noi stessi: tra dimensione fenomenica e tensione all’ulteriorità. Note su ontologia e politica in Kant
Parlare di fenomenicità dell’ente pensante significa riconoscere che il soggetto può in definitiva riflettersi solamente nella cosalità, vale a dire indirettamente; ed è di conseguenza, intrinsecamente scisso, estraniato. In tal senso si può dire che si è come “stranieri a se stessi”; e lo si è tanto più allorché ci troviamo di fronte altri soggetti, che proprio in quanto “interiorità”, ci sfuggono dunque interamente e ai quali a nostra volta sfuggiamo. Se non possiamo riflettere noi stessi e conoscerci se non intuitivamente, fenomenicamente, come potremo farlo infatti, allorché ci si trova di fronte ad altri “io”, ad altre interiorità che si trovano nondimeno fuori di noi? Il saggio riflette, in maniera problematica, l’esigenza di pensare l’istanza politica all’interno della svolta trascendentale. Se è indubbiamente vero che Kant concede al futuro uno statuto assiologico, come tempo dell’approssimarsi umano all’ideale normativo sorretto dal Sollen, l’a priori storico che ne deriva risulta non dotato di una valenza costitutiva (e perciò stesso fondante), ma solo regolativa. L’aderire del tempo alla struttura umana finita e parziale, l’apertura all’incompiutezza mondo storico non bastano a risolvere nella Storia il problema metafisico.
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